Periodico dell’ EDA Italia Onlus, Associazione Italiana sulla Depressione

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Editoriale DS 2/25. Padrini dell’AI

La rivista Depressione Stop è sempre più un punto di riferimento per la divulgazione di informazioni scientifiche sui disturbi dell’umore. Mantenendosi al passo dei tempi ha iniziato ad affrontare l’invasione della AI. Siamo in grado di usarla? Che ruolo ha nella pratica clinica? Ne siamo i padrini? o le vittime?

Il ruolo di Depressione Stop

Analizzando la strada finora effettuata da Depressione Stop risulta evidente che suo il crescente interesse sia dovuto all’ampia gamma di contenuti offerti al lettore e dalle modalità di fornire informazioni. Attraverso un linguaggio scorrevole e comprensibile e di elevato contenuto scientifico i redattori della rivista affrontano i temi più importanti e attuali, così come la AI (Artificial Intelligence). Seguendo gli obiettivi della EDA Italia ONLUS, Depressione Stop si pone l’obiettivo di raggiungere il maggior numero di lettori, soprattutto non professionisti per lanciare un messaggio. I disturbi dell’umore, come le depressioni e i disturbi bipolari possono e devono essere curati. Magari anche con l’aiuto della AI.

Spettatori e attori

Ci troviamo in mondo in cui il facile accesso alle informazioni sui disturbi dell’umore è alla portata di tutti. La AI attraverso strumenti come Chat GPT ci inonda di informazioni. Ci indirizza, accompagna e conduce verso qualsiasi terreno. La AI segue nostri gusti, le nostre tendenze, le nostre richieste usando il linguaggio comprensibile dall’utente. In qualche modo la AI ci asseconda. Nel suo straordinario mondo ci si può perdere e addentrarsi in luoghi fantastici e inesplorati ma anche in meandri oscuri, a volte pericolosi. Iniziamo a capire che la AI può aiutare il lavoro del clinico, del medico e dello psicologo. Ma anche il paziente lo utilizza, così come ha utilizzato i motori di ricerca, Facebook, Instagram e così via.

Conoscere senza pregiudizi

I professionisti della salute devono aiutare e accompagnare il paziente che si è rivolto alla AI per affrontare il suo disagio. Per fare ciò devono approfondirne la conoscenza e l’utilizzo della AI per accompagnare le persone sofferenti lungo il cammino della guarigione. Bisogna, tuttavia, affrettarsi. Siamo già in piena esplosione della AI e dei suoi strumenti. Nel numero attuale, alcuni redattori hanno iniziato ad affrontare questo argomento sottolineando l’utilità della AI in campo psicologico e psichiatrico. Non possiamo relegarla a semplice giocattolo.  Dobbiamo evitare il rischio che la nostra resistenza o i nostri pregiudizi creino una barriera tra paziente, clinico e AI. «Il triangolo non l’avevo considerato» (Zero, 1978).  

Rischi e opportunità

Il rischio sarebbe quello di lasciarci sfuggire di mano la capacità diagnostica e terapeutica consentendo al paziente di addentrarsi da solo nel mondo della AI. Se così fosse l’intelligenza artificiale li travolgerebbe e isolerebbe. Il COVID-19 ci ha fatto liberare dalla dottrina assoluta della necessità dell’incontro in presenza come unica modalità terapeutica.

L’incontro virtuale con il paziente, con tutte le sue difficoltà e limitazioni, fornisce delle enormi facilitazioni e ha permesso di non lasciare solo il paziente.  Allo stesso modo è indispensabile oggi appropriarsi dei nuovi strumenti della AI per conoscerne le qualità e i difetti, le potenzialità e i danni.  Il professionista della salute rischierebbe di essere isolato e abbandonato. Si invertono le parti.

La proprietà umana dell’AI

Il cervello umano è, tuttavia, il proprietario della AI. Edelman affermava che «la bellezza tutta astratta delle macchine [artificiali] è seducente, ma è lontana dalla realtà individuale degli uomini» (2018). Il cervello umano si configura attraverso la propria storia determinandone l’estrema variabilità e la sua unicità.  L’arte, la musica, la pittura, le scoperte scientifica, le innovazioni, la filosofia, l’amore, le emozioni sono i suoi frutti.

Con molto orgoglio e un po’ di presunzione sappiamo che i modelli computazionali che cercano di simulare il cervello sono inadeguati e riduttivi (Carli & Grigenti, 2019). Se fossimo veramente convinti che il nostro cervello sia simile a un computer, l’individualità non potrebbe esistere e non avrebbe alcuna importanza. Siamo noi i padrini della AI.

Considerazioni

Ci troviamo in un momento storico di svolta. «Le generazioni future non sapranno mai com’era una realtà esclusivamente analogica, offline, predigitale. Siamo l’ultima generazione che l’avrà vissuta» (Floridi L, 2022). Siamo la generazione analogica e predigitale che ha fatto da padrina all’AI.  In quanto tali spettatori e protagonisti siamo preoccupati, confusi e disorientati. Per combattere tali sentimenti l’unica strada è la conoscenza dell’AI che ci consente di appropriarci di tali strumenti che ci daranno opportunità straordinarie. Il mondo «vecchio è finito ormai è finito, ormai. Ma qualcosa ancora qui non va» (Dalla, 1979). 

Francesco Franza

Suggerimenti bibliografici

  1. Carli E, Grigenti F. Mente, cervello, intelligenza artificiale. Pearson, 2019
  2. Dalla L. L’anno che verrà. Universal Music Publishing Ricordi Srl. 1979
  3. Edelman GM. Darwinismo neurale. Raffello Cortina Editore, 2018
  4. Floridi L. Etica dell’intelligenza artificiale. Raffello Cortina Editore, 2022
  5. Zero R. Triangolo. Universal Music Publishing Ricordi Srl., 1978

Foto: Envato Elements

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