La depressione nell’antica Mesopotamia
Un’analisi storica della malattia mentale e della depressione nei testi e nelle pratiche terapeutiche nell’antica Mesopotamia.
Un’analisi storica della malattia mentale e della depressione nei testi e nelle pratiche terapeutiche nell’antica Mesopotamia.
Nel mondo medievale l’accidia, uno dei sette vizi capitali, era considerata un peccato mortale e segno dell’azione malefica del demonio.
Il medico arabo del X secolo, Ishaq Ibn Imran, fu una figura molto importante e di riferimento per più secoli nel modo medievale con il suo “Trattato sulla Malinconia”.
Il suicidio per gli antichi Romani era un atto compreso, accettato e giustificato se era per porre fine a una grave malattia e per scelta razionale contro il “taedium vitae”. Non era un comportamento illecito tranne in casi particolari.
La depressione o taedium vitae, come la chiamavano gli antichi romani, era una patologia piuttosto diffusa nell’Antica Roma. A nulla serve cercare di evadere con viaggi e distrazioni perché non si scappa da sé stessi.
Michelangelo lasciò un certo numero di statue allo stato di “non finito”. Non poté finirle per cause esterne? Lo decise di sua volontà? O per i suoi aspetti caratteriali?
La melancolia, o attuale malinconia e depressione, per gli antichi greci era causata da un eccesso di bile nera, atrabile, nel cervello, secondo la teoria ippocratica dei quattro umori corporei.
La malinconia nell’antica Grecia era causata da un eccesso di bile nera nel cervello. E’ quanto Ippocrate il padre della medicina e grande medico del IV secolo A.C. ipotizzava.
Nel papiro 3024 un antico egiziano parla disperato con la sua anima.
Un dialogo immaginario tra un uomo depresso e il suo spirito.
Una bellissima poesia di 4000 anni fa.
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