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La depressione nell’antica Mesopotamia

Un'analisi storica della malattia mentale e della depressione nei testi e nelle pratiche terapeutiche nell’antica Mesopotamia.

Introduzione

La depressione è una malattia mentale che ha afflitto l’umanità per millenni. La tristezza, la malinconia, il pensiero negativo hanno purtoppo accompagnato nel tempo la vita dell’uomo con il loro peso emotivo e cognitivo. Anche nell’antica Mesopotamia, tra i fiumi Tigri ed Eufrate, questa sofferenza psichica aveva avuto un impatto significativo sulla vita delle persone. Questo articolo esamina il modo in cui la depressione era affrontata nella società mesopotamica, analizzando i testi e le pratiche antiche per comprendere come la malattia veniva diagnosticata e trattata.

Contesto storico

L’antica Mesopotamia, tra il 3500 a.C. e il 539 a.C., fu una delle prime civiltà avanzate del mondo. La sua cultura e società erano ricche di sviluppi intellettuali e culturali, con notevoli contributi nel campo dell’agricoltura, dell’architettura, dell’arte e della scrittura cuneiforme. Tuttavia, come in molte altre civiltà, la Mesopotamia nonostante il benessere non era esente dalle sofferenze della malattia mentale, inclusa la depressione.

Concetto di depressione nell’antica Mesopotamia

Per comprendere il concetto della depressione nell’antica Mesopotamia, possiamo attingere principalmente dai testi rinvenuti, tra cui tavolette cuneiformi e i testi medici. Nell’antica Mesopotamia, il concetto di depressione era fortemente connesso alle credenze religiose e alle interpretazioni dei fenomeni naturali. I testi mesopotamici spesso associano la depressione ad eventi sfortunati o a situazioni di profonda angoscia emotiva, con una reazione negativa dell’umore. I riferimenti alle «anime pesanti» o ai «cuori affranti« indicano uno stato mentale doloroso e tormentato, che può essere interpretato come un’indicazione di depressione dell’umore.

In particolare, uno dei testi letterari più noti che menziona la depressione è il «Poema di Gilgamesh», un’opera epica sumerica del terzo millennio a.C. Nella storia del poema, il protagonista, Gilgamesh, sperimenta una profonda tristezza dopo la morte del suo amico Enkidu, dimostrando una comprensione primitiva delle emozioni e dei sentimenti legati alla perdita (Foster, 2001).

Le cause della depressione

Le cause attribuite alla depressione nell’antica Mesopotamia erano prevalentemente di natura spirituale e divina. I testi medici dell’epoca suggerivano che la malattia mentale potesse essere causata da «spiriti maligni” o come una punizione degli dei per peccati commessi. Gli antichi mesopotamici erano fortemente convinti della connessione tra gli influssi astrali e la vita dell’uomo, inclusa la sua salute mentale. Pertanto, anche le particolari posizioni delle stelle e dei pianeti venivano considerate come possibili cause della depressione (Leichty, 2011).

Un importante testo medico che menziona la depressione è il «Testo Terapeutico» o «Rituali Terapeutici», che include incantesimi e riti per curare diverse malattie, tra cui quelle mentali. Questi rituali spesso coinvolgevano la recitazione di formule magiche e invocazioni di divinità, con l’obiettivo di allontanare gli spiriti maligni o gli influssi negativi che si pensava causassero la depressione (Horowitz, 1998).

I trattamenti e le cure antidepressive nell’antica Mesopotamia

Per trattare la depressione, gli antichi mesopotamici si basavano su un insieme di approcci terapeutici, che combinavano pratiche mediche tradizionali con la sfera religiosa. I rituali di purificazione e gli incantesimi erano eseguiti da sacerdoti o sciamani specializzati nel trattamento di disturbi mentali. Questi professionisti utilizzavano incantesimi e formule magiche per esorcizzare gli spiriti maligni ritenuti responsabili della malattia mentale.

Tuttavia, l’approccio medico aveva anche un ruolo nel trattamento della depressione. Gli antichi mesopotamici avevano una conoscenza rudimentale delle proprietà terapeutiche delle erbe medicinali e delle sostanze naturali. Gli estratti di piante venivano impiegati per alleviare alcuni sintomi della depressione, anche se è importante notare che la comprensione medica dell’epoca era limitata, e l’efficacia di questi rimedi era probabilmente modesta (Fales, 2018).

L’importanza della religione nell’antica Mesopotamia

La religione svolgeva un ruolo fondamentale nella comprensione e nel trattamento della depressione nella Mesopotamia antica. La fede nella divinità e la fiducia nel potere della preghiera e dei riti di purificazione erano considerati essenziali per curare i disturbi mentali. Un concetto comune nelle antiche civiltà era che la vita dell’uomo  fosse influenzata nel quotidiano dal volere degli dei o dall’influsso astrale e che la malattia fosse una punizione divina. Pertanto era necessario accattivare la loro benevolenza con riti propiziatori, purificatori e seguire le regole della natura e la divina volontà. Anche l’arte divinatoria dei sogni era molto importante e oltre a dare indicazioni e vaticini sul futuro poteva dare indicazioni terapeutiche. Alcuni testi suggerivano anche il ricorso all’interpretazione di sogni, che era un’attività sacra in questa civiltà, per ottenere consigli divini riguardanti la depressione.

Conclusione

La depressione nell’antica Mesopotamia era considerata una condizione psichica influenzata da forze sovrannaturali e spesso trattata con pratiche religiose. Questa concezione era tipica delle società antiche, in cui le spiegazioni naturalistiche e biologiche delle malattie mentali erano limitate e/o assenti. Nonostante le differenze culturali e le conoscenze mediche rudimentali di quei tempi, l’attenzione data alla religione riflette l’importanza della sfera mentale nell’esperienza umana sin dai primi tempi della civiltà. Studiare il passato ci aiuta a comprendere meglio l’evoluzione della nostra comprensione della depressione e delle malattie mentali nel corso dei secoli.

Maurilio Tavormina

Bibliografia

  1. Fales F. M. (2018) La medicina assiro-babilonese. ISMEO-Associazione Internazionale di studi sul Mediterraneo. 2018 Scienze e Lettere S.r.l. ISBN 9788866871484 https://discovery.ucl.ac.uk/id/eprint/10090412/1/Geller_2_Estratti%20-%20Geller%201.pdf
  2. Foster B. R. (2001). The Epic of Gilgamesh: A Norton Critical Edition. W. W. Norton & Company. ISBN: 978-0393975161.
  3. Horowitz W. (1998). Mesopotamian Cosmic Geography. Eisenbrauns. ISBN: 978-1575060528.
  4. Leichty E., Ellis M. L., & Gerardi, P. (2011). The Babylonian Correspondence of Esagil-kīn-apli. Brill. ISBN: 978-9004206485.

Foto: Envato Elements

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