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Goya e la depressione malinconica

Goya racconta la depressione melanconica nei Dipinti Neri: un viaggio visivo e psichico nel dolore, nella follia e nella perdita di senso del mondo.

La sala dei Dipinti Neri di Goya

Ci sono luoghi in cui l’arte riesce a trasmettere emozioni con una potenza insolita. La sala dei Dipinti Neri di Goya del Museo del Prado è uno di questi. Entrarvi rappresenta un’intensa esperienza sensoriale ed emotiva. Lo spazio è raccolto e poco illuminato. Le immagini esprimono un mondo interiore turbato. Le figure deformate e i corpi mutilati evocano uno stato mentale di sofferenza e angoscia. Per chi opera nella salute mentale, l’impatto evoca uno stato affettivo di tipo misto. Uno stato clinico caratterizzato da umore flesso ma carico di tensione, impulso e disperazione. In questo contesto, la depressione melanconica può diventare la chiave clinica e culturale per interpretare l’intera opera.

La Quinta del Sordo e la depressione melanconica

Nel 1819 Goya acquistò una casa isolata sul Manzanarre, vicino Madrid, che fu chiamata Quinta del Sordo. Vi si ritirò malato, sordo, disilluso, dopo anni di crisi politiche e personali. Tra il 1819 e il 1823 realizzò sulle pareti della casa le “Pinturas Negras”, distribuite in due stanze, al piano terra e al piano superiore. Non si trattava di opere destinate al pubblico, ma di immagini interiori, forse terapeutiche. Le figure appaiono immobili, sature di dolore, angoscia e senza possibilità di salvezza. Studi clinici moderni riconducono queste produzioni a una forma di depressione melanconica, una condizione caratterizzata da anedonia (incapacità a provare piacere), colpa, blocco psicomotorio e ideazione nichilista (1).

Sono state avanzate ipotesi di origine organica per il disturbo mentale di Goya. La prima è la neurosifilide: la sifilide terziaria può causare disturbi neuropsichiatrici, stati confusionali e decadimento affettivo, anche dopo anni di latenza. Una seconda ipotesi è quella dell’avvelenamento da piombo, dovuto all’uso della biacca, un pigmento costituto da carbonato basico di piombo, usato nella pittura del tempo. Studi moderni hanno collegato l’intossicazione cronica da piombo (saturnismo) a sintomi depressivi, disforia e deterioramento cognitivo (2).

“Il sabba delle streghe”, Francisco Goya, 1819-1823, fonte Wikipedia, pubblico dominio.

Depressione melanconica e sintomi disforici nei testi di Goya

Le lettere e gli scritti di Goya testimoniano fasi di profonda instabilità dell’umore. Il pittore alternava apatia, irascibilità e disperazione. Nelle Lettere a Martín Zapater, amico di infanzia, scriveva: ” Mi trovo in uno stato d’animo tale che quasi non riesco a sopportarmi”, “Tutto mi dà fastidio, e a volte detesto la compagnia degli uomini” “Non posso dirti ciò che sento dentro di me. Mi sembra che non ci sia nulla di buono in me” (3).

Questa descrizione soggettiva appare oggi compatibile con uno stato misto, in cui sintomi depressivi si accompagnano ad agitazione psicomotoria, rabbia, insonnia e labilità emotiva. Nella depressione melanconica, possono emergere anche tratti disforici. Il dolore psichico si accompagna a urgenza, impulsività, eccesso di pensiero negativo e ideazione suicidaria.

Nei Dipinti Neri Goya restituisce esattamente questa lacerazione affettiva. In Saturno che divora i suoi figli, il gesto irreversibile del dio è rappresentato come azione autodistruttiva. In Cane interrato nella rena, l’immobilità del muso emergente dalla sabbia è metafora di impotenza e annientamento.

Pitture nere, melanconia e dissoluzione del senso

Le immagini delle Pinturas Negras non raccontano una storia. Le scene appaiono chiuse, claustrofobiche, prive di sbocco. In Pellegrinaggio a San Isidro, una folla avanza senza meta, senza direzione. In Due uomini che si colpiscono a bastonate, la violenza è ciclica, senza esito. Questo assetto iconografico corrisponde alla fissità cognitiva e affettiva tipica della depressione melanconica: non c’è più progettualità, né fiducia in un cambiamento possibile.

Werner Hofmann ha definito queste opere “mostri dell’inconscio”, evocazioni simboliche di paure e ossessioni profonde (4). Todorov, a sua volta, ha parlato di Goya come di un “esorcista di sé stesso” (5). Le immagini non sono allegorie: sono materializzazioni visive del dolore psichico. L’artista non interpreta, ma espelle. Non illustra la follia: la abita.

Declino sociale e depressione melanconica collettiva

Il periodo in cui Goya realizza le Pinturas Negras coincide con la restaurazione borbonica e la fine dei sogni liberali. L’artista assiste al fallimento delle idee riformatrici, all’instaurarsi della repressione e al ritorno del potere assoluto. In questo clima politico e sociale, la depressione melanconica che affiora nelle sue opere non è solo soggettiva. Diventa lo specchio di un intero mondo in crisi.

La dissoluzione individuale si sovrappone al disfacimento collettivo. Il nero che domina le superfici non è solo cromatico. È il colore simbolico della storia, della perdita di senso, del trauma collettivo. Le pareti della Quinta del Sordo diventano un luogo di rappresentazione del crollo simbolico dell’identità europea postnapoleonica. Nulla può essere salvato, perché ogni riferimento condiviso è stato distrutto.

Il cane nella rena: immagine della depressione melanconica

Le Pinturas Negras non furono pensate per la fruizione pubblica. Dopo la morte di Goya, furono staccate dai muri e restaurate dal figlio Javier, quindi esposte all’Esposizione Universale di Parigi nel 1878. Solo più tardi entrarono a far parte della collezione permanente del Museo del Prado. Per decenni rimasero ai margini della critica, considerate opere minori o eccentriche. Solo nel Novecento furono riconosciute come precursori dell’arte moderna e documenti straordinari della sofferenza psichica.

Oggi possiamo leggere queste opere come una rappresentazione visiva della depressione melanconica, capace di restituire un’esperienza affettiva difficile da verbalizzare.  Il dipinto Cane interrato nella rena è forse la sintesi più potente di questo paesaggio psichico. Il muso dell’animale emerge appena dalla sabbia, lo sguardo è vuoto, la posizione immobile. Non vi è movimento, né intenzione. Solo attesa. L’immagine evoca l’anedonia, la perdita di iniziativa, l’incapacità di agire che caratterizzano i quadri più gravi della depressione melanconica. Il cane non ha più orizzonte né via di fuga. Il mondo è ridotto a uno spazio sepolcrale.

Conclusioni

Goya non interpreta il dolore. Lo rappresenta con crudezza e precisione. In questa forma pittorica essenziale, la psichiatria contemporanea riconosce una corrispondenza profonda con la fenomenologia della melanconia. Nessuna parola sarebbe altrettanto efficace.

Antonella Litta

Bibliografia

  1. Barale F, Bertani M, Gallese V. Melanconia. Clinica, teoria, storia.  Raffaello Cortina Editore; 2004.
  2. Hofmann, W. (1971). Goya. Milano: Rizzoli.
  3. Francisco Goya Lettere a Martin Zapater Abscondita Editore trad it 2023
  4. Hughes, R. (2003). Goya. New York: Alfred A. Knopf.
  5. Todorov, T. (2004).  Goya all’ombra delle luci, trad. it. Garzanti, 2007

Foto: Francisco Goya, Il 3 maggio 1808 (1814); olio su tela, 266 × 345 cm, museo del Prado, Madrid, fonte Wikipedia, pubblico dominio.

Foto: Francisco Goya, il sabba delle streghe, 1819-1823, Wikipedia, dominio pubblico,  Francisco Goya – http://www.artchive.com/artchive/g/goya/great_he-goat.jpg

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