Periodico dell’ EDA Italia Onlus, Associazione Italiana sulla Depressione

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Diversità Fragili

Cosa significa davvero “essere diversi” in un’epoca che si dichiara inclusiva? E cosa rende alcune differenze più esposte al dolore, alla marginalizzazione, al disagio? Il concetto di diversità fragili proposto dal Centro Sudi Stigmamente Arte Media e Psichiatria offre uno strumento per leggere criticamente l’ambiente e la sua responsabilità.

L’espressione diversità fragili nasce come proposta di comprendere in modo meno rigido una delle problematiche del tessuto psicosociale attuale: lo scollamento della persona dal contesto. Le diversità non è sinonimo di debolezza o handicap. Le diversità – biologiche, psichiche, etniche, culturali, ambientali – diventano fragili quando non vengono accolte, comprese o valorizzate dai contesti in cui nascono, si sviluppano e vivono. Fragili, pertanto, non per qualità in sé, ma per incapacità del sistema e del contesto in cui vivono ad avere una forma di integrazione sociale. Dopo la fragilità umana si passa all’etichetta sociale, allo stigma e in ultimo alle discriminazioni.

Diversità fragili: un’intuizione che nasce dall’ascolto

Quando una società è in crisi, il linguaggio è la prima cosa da ripensare: esso può diventare un potente strumento al servizio della prevenzione e dell’equità. Diversità fragile si riferisce a un fenomeno psicosociale ampio, trasversale, fluido, che tocca fasce diverse della popolazione. Si esprime tanto nell’adolescente che sceglie di evitare la società quanto nell’anziano isolato, nel migrante e nella persona con diversità psico-neurologiche.

Il concetto delle diversità fragili vuole essere un ponte simbolico che connette le micro-sofferenze del presente a dinamiche sociali e istituzionali macroscopiche. È un concetto pensato sia per tutelare la ricchezza personale, sia per indicare nuovi modi di concepire le politiche psicosociali di sviluppo della società (policies). È uno dei concetti che l’associazione Stigmamente pensa essere necessario per comprendere la complessità attuale delle società.

Alienazione dal contesto: quando l’ambiente disconnette le diversità fragili

Uno degli assunti fondamentali del concetto di diversità fragili è il concetto di alienazione dal contesto. Questa espressione diventa evocativa nel richiamare alla memoria lo psichiatra francese settecentesco Pinel, o la teoria marxiana, oppure la psicologia culturale e ancora l’ecologia sociale. Essa descrive una dinamica profonda: il vissuto, spesso silenzioso e crescente fino al rigetto, di non sentirsi parte del proprio ambiente. L’alienazione è un’esperienza esistenziale. Le diversità, quando non accolte, rendono chi le vive molto vulnerabile. Tuttavia, la fragilità non è interna solo all’individuo, ma è un sintomo sociale di un deficit relazionale del tessuto sociale dominante.

Se sembra un concetto astratto basta pensare come esempi agli ambienti scolastici che ignorano le diversità psico-neurologiche, ai contesti lavorativi che escludono chi vive fasi depressive, agli spazi urbani che diventano ostili per chi ha limitazioni fisiche e infine alle  piattaforme digitali che accentuano la solitudine invece di ridurla. 

L’alienazione dal contesto è un fenomeno multidimensionale, per il quale Stigmamente pensa sia necessario creare quei dispositivi (Focault, Agamben) di semplificazione della complessità sociale attraverso uno sguardo nuovo del vecchio. Serve una nuova attività di conoscenza della complessa profondità della attuale condizione umana. Servono “deep humanities” (profonda umanità) oltre che medical humanities: non basta pensare ad umanizzare la medicina, ma è necessario osservare in profondità, sospendendo i giudizi.

L’ambiente sociale e la mancanza di benessere percepito

Un ambiente che non sa accogliere, che non sa interpretare, che non si adatta alle differenze, diventa esso stesso fonte di sofferenza. E la fragilità, in questo caso, è una ferita del sistema. Sono tanti gli studi che hanno dimostrato negli ultimi cinquant’anni quanto il contesto sociale sia determinante come attore nell’origine del malessere psicosociale. Solo, ad esempio: le teorie ecologiche del benessere (Bronfenbrenner, 1979) e le ricerche sulle disuguaglianze psicosociali (Wilkinson & Pickett, 2009). Ultima ad arrivare è stata la definizione di Pandemic Fatigue dell’OMS in corso di pandemia Covid-19.

Da alcuni anni l’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) e la Commissione Europea sollecitano a includere la salute mentale in tutte le politiche di programmazione, non solo sanitarie (Mental Health in All Policies) e riconoscono i determinanti sociali del benessere come fondamentali (WHO, 2022; EC, 2023).

L’idea, che sembra più un libro dei desideri, è quella di promuovere una salute mentale diffusa, con capillarità dei servizi (recovery compresa) e un diverso approccio nella medicina del lavoro. L’utilizzo del concetto di diversità fragili nei piani scolastici per il benessere, nelle campagne anti-stigma istituzionali, nei servizi sociali integrati, potrebbe aprire nuovi spazi operativi e formativi. Potrebbe suggerire una nuova chiave operativa, efficiente nel parlare al tempo presente.

“Diversità fragili” di Luigi Starace, 2025

Le nuove solitudini del presente: un catalogo disomogeneo ma coerente


Viviamo in un’epoca segnata da una moltiplicazione di vissuti di isolamento, ansia, scollamento. Le nuove solitudini non si esprimono più solo con l’immagine tradizionale dell’abbandono. Oggi la solitudine può abitare anche le stanze digitali, i social network, le videochiamate senza contatto. Hikikomori, eco-ansiosi, giovani LGBTQIA+ rigettati dalle famiglie, migranti irregolari, anziani soli, persone con disabilità invisibili: tutte queste figure, diversissime tra loro, condividono un’esperienza di “diversità fragile”. Restano ai margini, anche se formalmente non escluse. Non sono “malate” in sé, ma diventano vulnerabili, quando la società non fornisce protezione, ascolto, rappresentazione.

Ecco allora che diversità fragili diventano una categoria utile per dare nome a queste vite laterali. Una categoria che rifiuta le classificazioni rigide, che non medicalizza, ma accoglie. È un approccio coerente con la paradigm shift proposta dalla Global Mental Health (Patel et al., 2018). Intendere il disagio psichico all’interno di un complesso di relazioni (famiglia, coppia, lavoro) disfunzionali o patologiche non è certo una idea nuova.

L’originalità delle diversità fragili sta nel ribaltare il paradigma del diverso, per cui la fragilità non è un difetto, né tanto meno una devianza: è una valutazione della tenuta psicosociale della nostra collettività. Non cristallizzare categorie di persone su cui agire ma, bensì, portare alla consapevolezza dell’importanza dei contesti variabili, nel tempo e nello spazio. Se tutto scorre, perché non può accadere anche nella società? 

Da clinica a policy: il potenziale del concetto di diversità fragili


Il concetto di diversità fragili è pensato per essere applicabile non solo in ambito clinico, ma anche in ambito educativo, sociale, culturale e soprattutto politico. Come le non-communicable diseases (NCDs) (malattie non trasmissibili da una persona all’altra), anche le diversità fragili rappresentano un fenomeno diffuso, silente, spesso sommerso. Sono un campanello d’allarme per un insieme di relazioni umane che non riescono a leggere le sfumature, che intervengono troppo tardi, che confondono il disagio con la devianza

La loro individuazione precoce, la loro presa in carico comunitaria, la loro valorizzazione culturale sono azioni perfettamente coerenti con le linee guida dell’OMS (2022) e dell’Unione Europea (2023). La prevenzione primaria, la secondaria e le diagnosi precoci permettono di ridurre notevolmente il carico sulle strutture sanitarie, a patto che siano efficienti ed efficaci. In termini di costi sarebbero azioni molto vantaggiose economicamente.

Riconoscere le diversità fragili. Significa abbracciare una nuova grammatica del disagio

Con questo articolo, il termine diversità fragili viene proposto alla comunità scientifica, ai professionisti della salute mentale, ma anche ai politici, agli insegnanti, agli attivisti. È un termine nuovo, ma non improvvisato. Nasce da un’osservazione attenta della realtà, da un’urgenza teorica, da un bisogno operativo. Non pretende di spiegare tutto, ma offre una lente per leggere il presente, per nominare ciò che manca, per orientare le scelte. È un concetto compatibile con le linee strategiche dell’OMS e della Commissione Europea. Esso si muove su un terreno di intersezionalità, di prevenzione precoce, di salute mentale nelle politiche pubbliche.

Come accade per le NCDs, anche qui Si tratta di fenomeni molto frequenti, ma scarsamente visibili. Ecco perché serve una nuova definizione del disagio psichico. Diversità fragili è un contributo in questa direzione.

Invito chi legge a farlo proprio, a metterlo alla prova, a criticarlo, a integrarlo. Perché ogni termine, se nasce dall’esperienza sul campo e guarda al futuro, può diventare leva di trasformazione. E oggi, in un mondo che cambia troppo in fretta, anche le parole contano. Soprattutto quelle che aiutano a riconoscere e proteggere la fragilità.

Luigi Starace

Bibliografia

  1. Bronfenbrenner, U. (1979). The Ecology of Human Development. Harvard University Press.
  2. European Commission. (2023). A comprehensive approach to mental health. Brussels: EC.
  3. Patel, V., Saxena, S., Lund, C., et al. (2018). The Lancet Commission on global mental health and sustainable development. The Lancet, 392(10157), 1553–1598.
  4. Sluzki, C. E. (1992). Transformations: A blueprint for narrative changes in therapy. Family Process, 31(3), 217–230.
  5. Wilkinson, R. & Pickett, K. (2009). The Spirit Level: Why More Equal Societies Almost Always Do Better. Allen Lane.
  6. World Health Organization. (2022). Mental health and COVID-19: Early evidence of the pandemic’s impact. Geneva: WHO.

Foto: “Diversità fragili” foto di Luigi Starace, 2025

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Diversità fragili - Luigi Starace, 2025.

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