Intelligenza e cervello
Le nuove conoscenze sul funzionamento e sull’organizzazione del cervello hanno modificato la precedente concezione della corteccia prefrontale che veniva considerata la sede principale dell’intelligenza. Il complesso di studi a riguardo ha fornito nuove conoscenze sulla struttura e sul funzionamento del cervello che ora conosciamo come struttura plastica e articolata.
Plastica nel senso che, nel corso della vita, il cervello può imparare, cambiare e riorganizzarsi in base a nuove esperienze, nuovi stimoli o nuovi apprendimenti. Articolata nel senso che, il cervello è composto da tante zone diverse, collegate tra loro, ognuna con funzioni specifiche ma che lavorano insieme.
In altri termini, il sistema nervoso centrale è formato da miliardi di neuroni collegati tra loro a formare un complesso di moltissime reti neurali. Queste reti neurali sono interconnesse e interdipendenti ossia lavorano insieme e dipendono l’una dall’altra. Analoga connessione avviene col corpo, tramite numerose vie di comunicazione, di natura chimica e nervosa e l’ambiente esterno.
Il risultato di questa complessa rete di comunicazione del cervello, ha arricchito il nostro concetto di intelligenza. Oggi non la consideriamo solo come capacità logica o razionale, ma anche come un’abilità che coinvolge i sensi, le emozioni, l’esperienza. Questa abilità, include la conoscenza di sé, la gestione delle emozioni e la capacità di affrontare le sfide della vita.
Diverse zone del cervello, tra loro collegate, concorrono a realizzare i diversi aspetti dell’intelligenza.
Le abilità mentali
Si è sempre ritenuto che le abilità, ossia le capacità mentali, necessarie allo sviluppo dell’intelligenza fossero solo di natura cognitiva. Legate cioè alla capacità intellettiva di acquisire informazioni, comprenderle, memorizzarle, risolvere problemi, ragionare in modo logico e astratto. Inoltre si riteneva che la corteccia prefrontale fosse la sola struttura cerebrale in cui queste abilità venivano gestite. Di conseguenza, anche il famoso quoziente intellettivo (QI) si basava sulla misurazione di queste capacità. Su di esso venivano costruiti i percorsi scolastici, educativi e professionali, oltre ai giudizi sulle persone.
Questa interpretazione dell’intelligenza ha influenzato il modo di valutare gli individui, in tutti gli ambiti, culturali, lavorativi e scolastici. Ma oggi sappiamo che questa visione ha prodotto valutazioni parziali e limitanti, specialmente nel settore educativo. Anche in questo ambito i percorsi di crescita e le valutazioni dovrebbero tener conto di tutte le forme di intelligenza, non solo di quella logico-razionale. Per esempio, in campo scolastico, questo criterio di valutazione basato sul QI, trascura aspetti fondamentali della vita degli studenti. Tra questi aspetti ci sono le emozioni, le esperienze personali, l’ambiente in cui essi vivono, il modo in cui si relazionano.
Viene spesso trascurata anche la motivazione, che nasce dall’equilibrio tra fattori personali e contesto relazionale. Ignorare queste componenti dell’intelligenza significa ridurne il significato a quello di nozionismo e di competenza tecnica e questo comporta evidenti danni educativi, formativi e personali. Analoghe riflessioni vanno estese in tutti i contesti sociali e professionali, dove vengono applicati questi criteri restrittivi.
In sintesi tutti i programmi di formazione e valutazione dovrebbero tener conto delle diverse abilità che costituiscono l’intelligenza.
Educazione all’intelligenza emotiva nei giovani
La regolazione delle emozioni e la conoscenza di sé e degli altri rappresentano le basi della cura di sé e della relazione con gli altri. Queste sono competenze fondamentali dell’intelligenza e sono rilevanti per il successo personale e l’adattamento sociale. L’intelligenza nozionistica, fondata esclusivamente sull’accumulo di conoscenze, non è sufficiente per affrontare la complessità della vita né per coglierne le opportunità.
A tal proposito Goleman (1999) sostiene che l’attitudine emozionale è una meta-abilità, ossia una competenza di livello superiore. Con questa definizione Goleman vuole sottolineare l’importanza dell’intelligenza emotiva nell’influenzare più efficacemente le altre abilità, comprese quelle cognitive.
Anche Galimberti (2007) sottolinea l’importanza di introdurre nella scuola programmi specifici sull’intelligenza emotiva per fornire ai giovani, strumenti adeguati a una gestione consapevole e matura della propria vita affettiva. Tali programmi dovrebbero concentrarsi sull’apprendimento di tecniche basate alla autoconsapevolezza, alla regolazione delle emozioni, alla comprensione empatica degli altri.
Queste abilità favoriscono lo sviluppo personale e prevengono problemi emotivi e disadattivi che sfociano spesso in comportamenti aggressivi, ribelli e in disturbi ansiosi o depressivi. Per questo motivo, è importante avviare un cambiamento nei progetti educativi e indirizzarli verso una nuova forma di interventi che siano centrati sulla persona. Gli interventi dovrebbero tener conto dei bisogni, delle potenzialità e delle fragilità dei ragazzi, considerare il loro vissuto personale e familiare, passato e presente.
Inoltre, il percorso educativo va condiviso e sostenuto anche dalle figure genitoriali o da altri adulti significativi nella vita dei giovani.
Le abilità dell’intelligenza
Dare una definizione univoca dell’intelligenza è complesso. Alla luce delle più recenti conoscenze, possiamo considerarla come l’insieme di diverse abilità cognitive emotive e sociali, tra loro profondamente interconnesse.
Per semplificare il concetto, possiamo suddividere l’intelligenza in tre categorie principali: cognitiva, emotiva e sociale a cui si aggiunge la consapevolezza di sé.
L’intelligenza emotiva comprende la capacità di riconoscere, nominare e regolare le emozioni. L’intelligenza sociale si riferisce, invece, alla comprensione del punto di vista degli altri e alla capacità di provare simpatia, empatia e compassione. La consapevolezza di sé riguarda la capacità di riflettere su sé stessi e di assumersi la responsabilità delle proprie azioni. Queste abilità emotive e sociali sono interconnesse tra loro così come lo sono le diverse abilità cognitive (Cozzolino,2021).
Secondo Goleman (1999) l’uomo è dotato di due menti, una che pensa, l’altra che sente. Si tratta di due forme di conoscenza diverse ma che interagiscono armonicamente tra loro.
Dal punto di vista evolutivo, la neocorteccia, sede delle funzioni razionali si è sviluppata milioni di anni dopo i centri emozionali, oggi noti come sistema limbico. Ciò fa comprendere che il cervello emozionale esisteva prima di quello razionale e che è stato cruciale per la sopravvivenza della specie. Oggi, questo stesso cervello emozionale, continua a svolgere un ruolo essenziale, arricchito da nuove funzioni nate dall’evoluzione cerebrale: non solo sopravvivere, ma dare senso alla vita.
Sempre Goleman (1999) definisce intelligenza emotiva come “la capacità di motivare se stessi e di persistere nel perseguire un obiettivo nonostante le frustrazioni; di controllare gli impulsi e rimandare la gratificazione; di modulare i propri stati d’animo evitando che la sofferenza ci impedisca di pensare; e, ancora la capacità di essere empatici e di sperare”. Con questa visione anche il pensiero di Borgna (2024) affermava che “noi conosciamo le cose non solo con la ragione astratta e calcolante ma anche con le ragioni del cuore”.
Tecnologia ed intelligenza
Il progressivo sviluppo della tecnologia ha favorito l’ampliamento della conoscenza e della informazione, potenziando l’intelligenza cognitiva e razionale. Tuttavia questo progresso è avvenuto a scapito dell’intelligenza emotiva e sociale che si fondano sulla relazione umana e sulla comunicazione profonda. La comunicazione mediata dalla tecnologia tende a indebolire forme espressive come la fisicità, gli sguardi, i gesti che veicolano e mettono in relazione aspetti umani.
Sono proprio questi elementi che permettono al linguaggio delle emozioni, degli stati d’animo, dei desideri e dei bisogni, di emergere senza ostacoli, senza frontiere. Il vero prerequisito della conoscenza è quindi realizzare l’accesso alla complessità e alla profondità della esperienza umana.
Comunicare non è solo trasmettere informazioni ma entrare in relazione con sé stessi e con gli altri attraverso il potente mezzo dell’intelligenza emotiva. Questo processo interattivo, dinamico, tramite la corporeità, permette un’autentica conoscenza perché tramite essa si manifesta il senso della vita e il potenziale umano più profondo. Sotto questo aspetto, la tecnologia, pur con i suoi innegabili vantaggi, ha evidenziato i suoi limiti perché sta privando l’intelligenza umana, del nutrimento relazionale ed emotivo.
Riflessioni
Non basta avere una buona intelligenza cognitiva se non si è in grado di conoscere, definire e regolare le proprie emozioni. Bisogna invece saper gestire le relazioni e le informazioni, affrontare situazioni di stress e gli ostacoli della vita. Si tratta di acquisire abilità che vanno oltre la razionalità.
Lo scarso sviluppo dell’intelligenza emotiva e sociale comporta spesso obiettivi personali falliti, frustrazioni, senso di inadeguatezza, aggressività fino all’isolamento sociale e alla chiusura depressiva.
Per tali motivi, è importante educare a questi principi conoscitivi che vanno applicati in ogni ambito della vita personale, sociale e lavorativa
Enza Maierà
Bibliografia
- Borgna E., L’arcipelago delle emozioni, Universale Economica Feltrinelli/saggi,2024
- Cozolino L., Neuroscienze per i clinici, Raffaello Cortina Editore,2021
- Galimberti U., L’ ospite inquietante- il nichilismo e i giovani, Serie Bianca Feltrinelli, 2007
- Goleman D., Intelligenza emotiva- che cos’è perché può renderci felici, Bur/ saggi, 1999
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