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Scenario futuro e nuove depressioni

Gli esiti post pandemici, i danni psicologici causati da due sanguinose guerre, combattute ai nostri confini, e i possibili danni psicologici prodotti dalla Intelligenza Artificiale possono costituire uno scenario patologico per l’umanità e nuove forme di depressione.

Quali e quante malattie mentali e, soprattutto, quali forme di depressione dovremo, in futuro, affrontare dopo aver vissuto due guerre, una lunga pandemia e l’inarrestabile sviluppo della IA? Proviamo ad elencare gli esiti scientificamente documentati nei primi due scenari, mentre per il terzo scenario descriviamo le suggestioni fantascientifiche che ancora prevalgono. Disegniamo di seguito il possibile scenario patogeno di depressione (Di Munzio, 2023.1, 2023.2).

Primo scenario. Esiti post pandemici

Dopo la pandemia, evento ancora non completamente alle spalle, abbiamo registrato moltissimi casi di disturbi ansiosi e depressivi. Probabilmente causati dai lunghi periodi di confinamento e dal conseguente ridimensionamento dei rapporti interumani. Tutto ciò ha causato episodi esplosivi di violenza, ha strutturato sentimenti di diffidenza di contatto con altre persone, visto spesso come fonte di possibile contagio. Questa chiusura ha portato ad un ridimensionamento dei rapporti sociali. E nei più giovani ha indotto un innaturale isolamento, impedendo loro di partecipare ai consueti eventi comunitari, musicali, o di semplice aggregazione e persino culturali. Queste limitazioni hanno causato un incremento dell’aggressività e una spinta ad aggregarsi in bande giovanili. Molto più rassicuranti per i singoli, ma spesso anche violente.

Molti studi di comunità sono stati avviati durante e dopo la pandemia.  Essi hanno prodotto dati che hanno indicato un aumento del disturbo post traumatico da stress, di disturbi dell’adattamento e, più genericamente, di patologie di ambito psicologico e psichiatrico. Ma il dato che ci sembra più preoccupante è che si è verificato un significativo incremento delle depressioni e degli esordi. Parliamo di psicopatologie gravi, generalmente preesistenti e sotto soglia, ma confinate precedentemente a semplici disturbi del comportamento.  Essi  di sovente erano letti superficialmente solo come cattivo carattere, pertanto accettati e tollerati dalle comunità familiari e di riferimento. Tutti questi disturbi hanno comportato lo strutturarsi di stati depressivi e un forte senso di inadeguatezza che a sua volta ha comportato una ricaduta sul livello individuale di autostima (Tiraboschi 2022).

Secondo scenario. Esiti psicopatologici generati dalla paura per la guerra

Soprattutto se queste guerre si combattono, come sta accadendo, nei pressi del nostro paese e tra popolazioni a noi molto simili per razza, colore della pelle e cultura. Le guerre che invece si combattono lontano, in altri continenti, ci inquietano meno.  Esse fanno erroneamente pensare a tutti noi di non essere esposti agli stessi rischi o di appartenere ad un popolo incapace di commettere simili atrocità.

Se aggiungiamo che la nostra memoria collettiva è molto labile e di breve durata, questo fatto ci ha già consentito di autoassolverci dagli orrori del recente nazismo e fascismo. Per questo motivo rimuoviamo le stragi perpetrate in Ruanda o il genocidio di intere popolazioni, perpetrato in Africa ai danni delle popolazioni Tutsi e Hutu. Eppure, si è trattato di stragi perpetrate senza alcuna pietà e causate da contrapposizioni economiche e sociali di diversa etnia. Tipica appunto quella citata tra i tutsi, dediti all’allevamento, e gli hutu dediti all’agricoltura.

Ma il mondo se ne è tenuto distante e li ha sempre lasciati massacrare senza muovere un dito, considerando sostanzialmente quei popoli «come selvaggi». Si capiva pertanto che risolvessero con le armi i loro conflitti interni. Probabilmente questo anche perché i loro paesi non sono né produttori di gas o di petrolio, né fornitori di preziose materie prime, necessarie alla produzione industriale.

Questa considerazione ha causato inconsci sensi di colpa e numerosi sintomi depressivi, connessi alla difficoltà di identificare le cause del disagio vissuto.

Terzo scenario. Esiti da (ab)uso dell’IA (Intelligenza Artificiale)

Il recente tumultuoso incremento nell’uso della intelligenza artificiale nella produzione industriale, ma anche nella vita ordinaria ha prodotto e produrrà una serie di disturbi depressivi. Essi possono peggiorare il nostro stile di vita e aprire scenari nuovi e imprevedibili, anche perché causati dalla massiccia perdita di posti di lavoro. Ciò comporta il dover ridefinire sia le modalità della produzione in generale, che il ruolo dei singoli lavoratori nell’ambito della filiera delle attuali produzioni.

Geoffrey Hinton

Il fenomeno illustrato nel terzo scenario era stato già a suo tempo denunciato da Geoffrey Hinton, uno dei fondatori e tra i più prestigiosi ricercatori di Google.  Egli clamorosamente aveva denunciato i rischi della AI per l’intera umanità e affermato che in futuro la IA produrrà profondi cambiamenti nella organizzazione della nostra vita. È chiaro che il sintomo prevalente sarà quello depressivo, causato dalla perdita del lavoro e del proprio ruolo sociale.

A questa condizione depressiva potrà seguire una forma di chiusura in sé stessi, in grado di generare persino una riduzione delle proprie difese personali. In esse sono incluse quelle immunitarie con il conseguente sviluppo di patologie silenti. Ciò significherà perdere la dimensione dei propri obiettivi esistenziali, il ruolo sociale e l’autostima. Un uomo privato del proprio lavoro può smarrire il senso della vita. E’ quanto accade in coloro che, essendo molto impegnati nel lavoro per una lunga fase della loro esistenza, andando in pensione, realizzano la perdita di un ruolo attivo.

Si rischia a questo punto, senza nuovi obiettivi da perseguire, di perdere oltre il rispetto sociale anche la stima in sé stessi. Ciò produce anche un profondo e non facilmente comprensibile stato depressivo.

Considerazioni conclusive

Allora si porrà un nuovo problema, solo apparentemente paradossale. Quello di come riorganizzare una società che non ha più bisogno di lavoro umano. Si dovrà allora pensare a nuove forme di lavoro e alla vita dei singoli cittadini nell’ambito di questa nuova società. Saremo forse obbligati a ricorrere a nuove forme di sussidi o, se volete, di assistenza di massa. Misure che potrebbero rivelarsi indispensabili al verificarsi della condizione di una società capace di produrre con meno addetti una ricchezza superiore a quella attuale. L’attenzione si sposta allora sul non generare un esercito di disoccupati, che potrebbero diventare socialmente pericolosi e potenzialmente aggressivi.

Un obiettivo potrebbe diventare quello di istituire, attingendo dalla ricchezza comunque prodotta, un salario minimo esigibile da tutti. Ma anche incrementare le retribuzioni per quei pochi lavori non delegabili alle macchine, come la banale gestione di un call center o di un centro di assistenza all’utenza. Rimarranno in piedi, conservando funzioni e ruoli, solo gli addetti alle professioni sanitarie, che adempiono ad attività non surrogabili dalla IA. Proprio perché esse necessitano di presenza umana, anche se supportata dalle stesse macchine. Si pensi agli interventi chirurgici a basso impatto, come quelli in endoscopia o laparoscopia. Ma soprattutto le macchine consentiranno un’accelerazione senza precedenti della ricerca scientifica e delle attività di addestramento e formazione del personale.

Cambieranno allora gli obiettivi di vita e le priorità, e ci sarà bisogno di nuove competenze professionali per i futuri manager. Esse saranno tali da consentire loro di operare con efficacia nell’ambito dalla organizzazione del lavoro (Catarozzo, 2022).

Tutto ciò potrà forse coesistere con l’umanità, se questa non dovesse diventare un pericolo per la sopravvivenza del pianeta … e delle stesse macchine.

Walter Di Munzio

Bibliografia

  1. Catarozzo M.A. 2022. Big Quit, Great Resignation, Quiet Quitting, serie di podcast dedicata al “Capitale Umano”, a cura di IPSOA, Milano: Episodi 1-2,3,4,5,6,7,8,9,10,11,12,13,14,15 e16. Cultura manageriale in azienda, le soft skills conquistano le PMI 
  2. Di Munzio W. 2023.1. Nuove malattie nel mondo che verrà, “Le ore di Cronache”, Salerno.
  3. Di Munzio W. 2023.2. Nuove malattie mentali, “Voce delle voci. Controstorie d’Italia”, Napoli.
  4. Tiraboschi M. 2022. Nuovi modelli della organizzazione del lavoro e nuovi rischi, Ed. Feltrinelli, Milano.

Foto: Envato Elements

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