Il lettore disattento ha spesso affermato che la poesia crepuscolare è triste e di stile “leggero”, per cui, definita poco coinvolgente. Anche la poesia leopardiana è fondamentalmente triste, ma il pessimismo di Leopardi, si sa, coinvolge il lettore. E ciò per la profondità dei suoi versi, sia perché il pessimismo leopardiano descrive uno stato d’animo molto spesso condivisibile e che appassiona.
La poesia crepuscolare non sempre ha avuto apprezzamenti degni di quanto i suoi autori avrebbero meritato. Anche, come ho prima affermato, in seguito al fatto che viene talvolta definita una poesia triste, leggera e poco coinvolgente.
Guido Gozzano ne è stato il suo più alto rappresentante: torinese, morto a soli 32 anni nel 1916 per tubercolosi. Un’attenta lettura delle sue rime mette in evidenza il velo malinconico che traspare dalle sue poesie, anche quelle apparentemente più gioiose. La sua però potremmo definirla una malinconia non triste, uno stato d’animo costruttivo che trae spunto da considerazioni malinconiche, ma non fini a se stesse. Dalla malinconia egli risale verso uno sguardo positivo, trasporta il lettore verso una strada che conduce ad un pensiero ultimo sereno.
Tre poesie di Guido Gozzano
Nella poesia “L’Assenza” (riflessioni di una persona innamorata in assenza dell’amata) quanto detto emerge:
Un bacio. Ed è lungi. Dispare
giù in fondo, là dove si perde
la strada boschiva che pare
un gran corridoio nel verde.
Risalgo qui dove dianzi
vestiva il bell’abito grigio:
rivedo l’uncino, i romanzi
ed ogni sottile vestigio […]
Mi piego al balcone. Abbandono
la gota sopra la ringhiera.
E non sono triste. Non sono
più triste. Ritorna stasera.
[…]
E non sono triste. Ma sono
stupito se guardo il giardino […]
stupito di che? non mi sono
sentito mai tanto bambino […]
Stupito di che? Delle cose.
I fiori mi paiono strani:
ci sono pur sempre le rose,
ci sono pur sempre i gerani […]
Oppure anche nella poesia “Ad un’ignota” (un’amica-amante che non c’è):
[…] So che vivi nel silenzio; come
care ti sono le mie rime: questo
ti fa sorella nel mio sogno mesto,
o amica senza volto e senza nome.
Fuori del sogno fatto di rimpianto
forse non mai, non mai ci incontreremo,
forse non ti vedrò, non mi vedrai.
[…]
Ed anche nella poesia “Ignorabimus” (una riflessione esistenziale):
[…] Ma ohimè, fratelli, giova che s’affondi
lo sguardo nella notte della sorte?
Volere un Dio? Irrompere alle porte
siccome prigionieri furibondi?
Amare giova! Sulle nostre teste
par che la falce sibilando avverta
d’una legge di pace e di perdono.
[…]
Considerazioni sulle poesie di Gozzano
Dopo tanti ricordi, abbandonare la gota sopra la ringhiera e non esser tristi (L’Assenza) è uno sprone a guardare avanti. Oppure sapere che vivi nel silenzio e diventi sorella nel mio sogno mesto (Ad un’ignota) invita ad una riflessione introspettiva. Ma anche sapere che amare giova anche quando si affonda lo sguardo nella notte della sorte (Ignorabimus), dà vero sostegno all’umano sentimento.
Malinconia costruttiva, ma non solo: l’arte crepuscolare di Guido Gozzano è anche pittura in prosa, dipinge con la penna e senza pennelli.
Lo si vede dal libro di prosa “Verso la cuna del mondo”, racconto di un suo viaggio in India ai primi del Novecento. Sono appunti di viaggio stesi con dovizia di particolari, con attenzione descrittiva a tutto ciò che veniva osservato lungo il percorso, lungo le pause di riflessione. Con un’attenzione descrittiva che traccia con gesti pittorici ogni aspetto paesaggistico da rendere il lettore presente e coinvolto in questo film di pagine.
Prosa poetica di Guido Gozzano
La poesia non è solo in versi: si può poetare anche scrivendo prosa, la prosa poetica di Guido Gozzano l’ha dimostrato nel volume “Verso la cuna del mondo”. Un brano fra i tanti del libro che stillano poesia lungo righe di prosa è il seguente in cui dipinge e colora di armonia vivida la descrizione degli avvoltoi:
«[…] Ed ecco fra il candore dell’edificio e l’azzurro del cielo una enorme forma nera e sinistra: il primo avvoltoio; poi un secondo, un terzo; poi sei, sette coronano la Torre, danno al suo squallore un tetro motivo ornamentale. Questi grifoni funerari superano veramente l’orrore di ogni aspettativa: si direbbe che la Natura li abbia foggiati secondo il loro tetro destino; hanno ali immense, possenti al volo, fatte per gli abissi del cielo, ma che nel riposo lasciano pendere lungo il corpo, trascinano nella polvere con una sconcia stanchezza, artigli formidabili, ma senza la linea nobile dell’aquila, artigli fatti per affondare nella carne putrida, non per lottare con la preda viva. E alla base del petto, sopra una collarina di piume fitte, si innesta un altro animale, un tronco di serpente ignudo, gialliccio, grinzoso, dalla testa calva, con un becco oscuro ed occhi dallo sguardo insostenibile, dove s’alterna la ferocia ingorda alla viltà e alla malinconia […] ».
Guido Gozzano rende appassionanti queste immagini degli avvoltoi, dimenticando quasi il lettore il loro aspetto tetro: l’armonia poetica che li descrive ce li dipinge come tratti di un quadro.
Dalla poesia crepuscolare, di cui Gozzano ne è la principale espressione malinconica ma allo stesso tempo positiva, sino alla prosa poetica di questi appunti di viaggio in India. Questo grande poeta nella sua breve esistenza ha lasciato un’immortale traccia nella letteratura italiana.
Giuseppe Tavormina
Bibliografia
- La via del rifugio, Torino-Genova, Streglio, 1907.
- I colloqui, Milano, Treves, 1911.
- Verso la cuna del mondo. Lettere dall’India (1912-1913), Milano, Treves, 1917.
Foto: di Giuseppe Tavormina