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Mediazione artistica in psicoterapia. Esperienze di arte-tango-terapia

La mediazione artistica, all’interno del percorso psicoterapeutico, può rappresentare un ponte per fare esperienza sul proprio modo di essere nel mondo e con l’Altro.

Ricorrere al setting artistico è proporre ai pazienti un modo diverso di fare esperienza di sé, del proprio accadere e della propria storia. Ad essere terapeutico non è né il tango in sé, né le altre forme di mediazione artistica che noi utilizziamo, ma il loro utilizzo integrato. La psicoterapia che utilizza il linguaggio dell’arte e della bellezza, offre uno spazio di espressione per conoscersi. E questo accade perché un corpo in movimento o che agisce, si esprime emotivamente. Lancia dei messaggi ed esprime emozioni. Il corpo parla e ci racconta delle sue paure, del dolore, delle barriere, delle ambizioni, dei suoi sogni. (d’Errico, 2017)

Le arti performative in mediazione artistica

Le modalità espressive che noi usiamo nei laboratori di terapia di gruppo arte mediata sono variegate. Training di teatro performativo quali il TdO (Teatro dell’Oppresso) e il PT (Physical Theater) (Lecoq, 2002) (Salatino, 2011). Inoltre tecniche di drammatizzazione che utilizzano la voce, i suoni oltre che il corpo. E ancora la fotografia, la pittura espressiva e gli elementi basici del tango (Brooke , 2006). Tutti elementi che si prestano bene al ruolo di facilitazione emotiva. Gli elementi basici del tango e le arti performative vengono utilizzate in modo fluido. Tutte queste forme di mediazione artistica sono sapientemente integrate l’una con l’altra.

Mediazione artistica e psicoterapia di gruppo

L’aspetto centrale nel lavoro con la mediazione artistica è l’esperienza: ciò che nella psicoterapia viene detto, qui viene agito. Le arti performative portano alla luce sensazioni, emozioni, vissuti che emergono nel qui ed ora. Fanno emergere ciò che le parole non riescono a dire e promuovono una riflessione e un cambiamento a partire dall’esperienza suscitata. Lo psicoterapeuta, in seguito, dà voce a quelle emozioni emerse e ne permette la verbalizzazione. In questo modo la persona può appropriarsene e dare senso a quello che è emerso. Ciò che cambia, rispetto al setting di psicoterapia, è che il modo d’essere, il vissuto della persona, anziché raccontato, qui è agito (d’Errico, Mastrofilippo, De Marzo, Nardini, 2014).

Setting

È importante avere uno spazio fisico che possa contenere un numero di persone né troppo grande, né troppo piccolo. Ci si deve poter muovere liberamente e sentire sufficientemente contenuti sul piano emotivo e a proprio agio. Una sala troppo piccola o troppo grande comporterebbe, rispettivamente, o un senso di disagio/costrizione/limite o, al contrario, un senso di dispersione/smarrimento. La durata e la tipologia del laboratorio possono variare. Il gruppo deve essere coordinato e condotto da uno psicoterapeuta, che deve necessariamente essere coadiuvato da un esperto in arti performative (d’Errico, 2017).

Il gruppo di psicoterapia

Io lavoro con gruppi di solito misti. I pazienti psichiatrici (soprattutto con disturbi dell’umore e disturbi d’ansia) lavorano assieme a persone che hanno un semplice disagio psicologico, esistenziale e/o sociale.  Il livello di profondità del lavoro dipende dal momento e dalla composizione del gruppo. Questo modello può essere applicato a vari livelli di profondità e modalità, sia in riabilitazione psichiatrica e psicosociale, sia come forma di psicoterapia di gruppo.   

Le fasi

Fase iniziale: apertura e accoglienza con analisi e discussione dell’esperienza precedente. Ogni sessione inizia con una sorta di fase di riscaldamento emotivo e fisico. C’è la necessità di riscaldare il corpo per predisporlo al movimento, soprattutto in riabilitazione. Per entrare in quello che chiamo “mood emotivo” utilizziamo la musica.

Fase centrale: il nucleo del lavoro vero e proprio. Il percorso e le tematiche vengono scelte di volta in volta in quanto tarate sull’utenza e sul qui ed ora dell’accadere.

Fase finale: l’incontro si chiude con l’ascolto di una musica, spesso, ma non necessariamente, di tango. Si può stare ad occhi chiusi, in modo da sintonizzarsi col proprio sentire e con il materiale psichico emerso.

Conclusione

Concludendo, ci proponiamo di fare della parola un movimento e del movimento una parola, affinché “nuovi passi” diventino veicolo di nuovi orizzonti. Fondamentalmente, l’obiettivo è fare di ciò che emerge nel setting di tango-arte-terapia un bagaglio da portare fuori, nella propria vita.

Immacolata d’Errico

Bibliografia

  1. Brooke S. L.: Creative Arts Therapies Manual: a guide to the Historical, Theoretical Approaches, Assessment and Work with Special Population of Art, Play Dance, Music, Drama and Poetry Therapies. Charles C. Thomas Publisher LTD, Springfield, Illinois, 2006
  2. d’Errico I., Mastrofilippo D., De Marzo N., Nardini M.:  Gotan Project: Tango,  a dance to experience  oneself. PSYCHIAT DANUB, 2014; 26 (sippl.1): S71-74
  3. d’Errico I.: Art As A Means Of Accessing Ourselves. Using Art In Psychotherapy.            Psychiatria Danubina, 2017; Vol. 29, Suppl. 3, pp 238-490
  4. Lecoq J.: The Moving Body (Le Corpes Poetique), Routledge, 2002
  5. Salatino P.: Il Teatro dell’Oppresso nei luoghi del disagio, Navarra Editore, Palermo, 2011

Foto di Immacolata d’Errico, collage di Antonio Sinisi

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