Periodico dell’ EDA Italia Onlus, Associazione Italiana sulla Depressione

La stanchezza nella depressione: tra filosofia neurobiologia

La stanchezza che si accompagna alla depressione non è solo un sintomo medico o psicologico ma anche un sintomo esistenziale. La neurobiologia e la filosofia analizzano lo stesso fenomeno partendo da due angolazioni diverse.

Introduzione

La stanchezza dell’essere è oggetto di studi in molti ambiti. Dalla neurobiologia alla filosofia, agli studi sociali. E’ un tratto distintivo della nostra epoca che affligge l’uomo sul piano sociale, esistenziale e clinico. Può essere il sintomo prevalente di una vita vissuta priva di senso, di slancio e di energia e di stanchezza. La corsa verso il raggiungimento di obiettivi personali è diventato, oggi, lo scopo dell’esistenza.     

Byung-Chul Han, noto filosofo contemporaneo, nel suo saggio “La società della stanchezza” (2010), offre un’interpretazione della depressione e della stanchezza come sintomi caratteristici dell’attuale “società della prestazione”. Nella nostra società, il motto implicito è: “Devo poter fare tutto”.

L’individuo accetta pienamente l’idea della prestazione per cui deve sempre migliorarsi, realizzarsi, essere efficiente. In essa manca però il tempo per la riflessione, per l’ozio, per la contemplazione che sono gli spazi necessari per la salute psichica. Quando l’individuo non riesce a reggere questo ritmo o non raggiunge gli obiettivi, non trova nessuno da incolpare se non sé stesso. Questo genera senso di frustrazione, esaurimento, stanchezza e infine depressione.

A questo proposito Han (2010) scrive: “La depressione è l’espressione patologica di una società che non ammette il limite, la fragilità, la stanchezza, tutto ciò che appare come “fallimento”. A sua volta la neurobiologia della depressione ci fornisce i dati, le prove di questa profonda stanchezza.

La stanchezza in filosofia: Byung Chul Han

La stanchezza esistenziale non è legata agli sforzi fisici, all’esaurimento delle energie muscolari o al bisogno di rilassarsi o dormire. Il riposo ed il sonno non alleviano questa mancanza di energia vitale, questa stanchezza interiore.

Han definisce stanchezza negativa o patologica quella del soggetto della prestazione. Ciò significa che essa è il risultato di un eccesso di attività, di iperconnessione al mondo virtuale di internet, del dover essere sempre “all’altezza”. Chi ne soffre alla fine si sente svuotato, senza tempo, senza senso alla vita. Da qui è breve il passo verso la depressione e il burnout.

Per Byung-Chul Han, la depressione non è pertanto solo un problema psicologico individuale, ma un sintomo culturale della nostra epoca. La stanchezza è il sintomo di un esaurimento delle energie psichiche e fisiche della società contemporanea.

Siamo esausti perché non possiamo più fermarci in quanto non possiamo deludere l’immagine di noi stessi come individui “realizzati”. È una stanchezza senza riposo, che non libera ma logora.

Per una visione più approfondita diciamo che la stanchezza depressiva non è caratterizzata solo da mancanza di senso, ma anche da “mancanza di energia”. La medicina la chiama depressione, la neurobiologia la descrive come ridotta azione dopaminergica, la filosofia l’ha sempre riconosciuta come fatica dell’essere. In realtà, questi linguaggi parlano della stessa esperienza: il venir meno dell’energia che ci lega al mondo.

La società moderna

La moderna società della prestazione produce isolamento perché il rapporto con l’altro viene sostituito da un amare solo sé stessi e dal vivere una realtà divenuta virtuale. È il segno che l’uomo si è isolato, che vive in un mondo senza rapporti con il prossimo. Il depresso non è più “in relazione”, non c’è più l’altro.

In testi come “Psicopolitica” (2024), Han analizza il potere contemporaneo come psicopolitico che non controlla più i corpi, ma le menti e i desideri. I social media, il marketing motivazionale e la cultura dell’automiglioramento spingono gli individui a esibirsi costantemente, a riproporre la propria immagine e a vendere sé stessi. Il risultato? Una società narcisistica connotata dalla stanchezza e dalla depressione.

La stanchezza in neurobiologia

Nel soggetto depresso la stanchezza assume caratteristiche specifiche. Si avverte la sensazione di esaurimento fisico, muscolare, anche al minimo sforzo; di affaticamento mentale con difficoltà a pensare, concentrarsi, ricordare. Mentre la stanchezza emotiva si manifesta frequentemente con la sensazione di non avere la voglia o la forza di affrontare la vita. Compresi i compiti quotidiani più banali.

Dal punto di vista neurobiologico la stanchezza depressiva oggi la si considera il risultato di alterazioni tra diversi sistemi di funzionamento del nostro corpo. Essi comprendono i sistemi neuro-trasmettitoriali, neuro-endocrini, immunitari, infiammatori e motivazionali (circuiti della ricompensa e dello sforzo).

Questi ultimi circuiti coinvolgono la dopamina ed alcune aree cerebrali come la corteccia prefrontale, il giro cingolato e il nucleus accumbens. Quando tali reti non funzionano la dopamina viene prodotta in minore quantità. La dopamina è un neurotrasmettitore che regola la motivazione e la curiosità ad affrontare la vita e ad agire per procurarsi il piacere. Quando la dopamina si riduce, con essa cala la spinta ad agire, l’interesse, l’energia mentale e fisica, In altri termini subentra una  sensazione di apatia e di stanchezza cronica.

Come si intrecciano stanchezza, depressione e senso della vita

Quando una persona è immersa in una cultura che valorizza la produttività, la visibilità (social media, lavoro, vita privata), la soglia per stancarsi si abbassa. Subentra uno stato di scarsa motivazione alla vita sociale e disinteresse. Se a questo si somma una predisposizione individuale (genetica, biologica, psicologica), la stanchezza può evolvere in un disturbo depressivo e di burnout. Quest’ultimo è una condizione di esaurimento fisico, mentale ed emotivo ed è la conseguenza del sovraccarico e dello stress cronico. Sul piano esistenziale si avverte una sensazione di “non senso” della vita.

I farmaci possono riattivare i circuiti dell’energia. Le psicoterapie, le pratiche di consapevolezza, la vicinanza degli altri o il contatto con la natura aiutano a ricostruire il legame con il mondo.  Esse restituiscono al cervello la possibilità di sentire di nuovo il senso della vita.

Non c’è contrapposizione tra la neurobiologia e la filosofia: sono due dimensioni che si alimentano a vicenda. Quando il cervello ritrova energia, anche il pensiero si può riaprire al futuro. E quando ritroviamo un motivo per vivere, il cervello stesso si riattiva e i livelli di dopamina, serotonina aumentano. È un circolo virtuoso che unisce corpo, mente e significato.

Conclusione

La stanchezza nella depressione è un sintomo importante. Come suggerisce Byung‑Chul Han (2024), non sempre deriva solo da cause individuali o biologiche, ma è profondamente intrecciata con i contesti sociali e culturali in cui viviamo. Quando comprendiamo questo legame, possiamo intervenire meglio a livello individuale, riflettere su come viviamo e dare un nuovo significato alla nostra esistenza.

La depressione in questo “mondo in corsa” è il risultato combinato di cultura, tecnologia e ideologia volta alla massima prestazione. Fattori questi che trasformano l’uomo e lo rendono simile ad un puro e arido algoritmo. Si spiega così l’insorgere dell’angoscia, della stanchezza e del senso di inadeguatezza, tipici della società contemporanea.

L’errore sarebbe pensare che la biologia e la filosofia si escludano. In realtà, raccontano la vita da due lati dello stesso specchio. La neurobiologia spiega come l’energia vitale si spegne; la filosofia racconta cosa si prova quando accade.

Enza Maierà

Bibliografia

  1. Byung Chul Han, La società della Stanchezza, Ed Nottetempo, 2010
  2. Byung Chul Han, Psicopolitica, Ed. Nottetempo, 2024

Foto: Envato Elements

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