Il dialogo nasce con noi, perché la madre e il neonato, sono guidati da un sistema innato a provare reciproca attrazione e a cercare il contatto. La loro sintonizzazione corporea ed emotiva da luogo alla prima forma di comunicazione (riconoscimento), che di giorno in giorno si arricchisce. Madre e bambino sono capaci di rivivere nel proprio corpo, ciò che hanno percepito nel corpo dell’altro. Tale esperienza genera nel neonato il sentimento base del proprio essere (Sé).
Il dialogo interno
Noi siamo un dialogo con l’Alterità (Stanghellini, 2017). Una particolarità prettamente umana è di essere sempre in relazione, sia che siamo con un altro individuo (relazione interpersonale), sia che siamo soli. In questo caso, il dialogo avviene con una parte di noi stessi (relazione intrapersonale).
Se ci rilassiamo per qualche minuto, ci accorgiamo di dialogare con una parte interna di noi stessi. Questa è involontaria e comprende spinte naturali (bisogni e desideri), emozioni, abitudini consolidate e valori appresi dall’ambiente (senso comune). La possiamo riconoscere da una qualsiasi di queste caratteristiche personali, in particolare se la viviamo con una certa difficoltà.
Proviamo per esempio a pensare alla sessualità, che già per la sua complessità, può indurre facilmente un disagio nella maggior parte di noi. Facciamo attenzione a cogliere le sensazioni corporee, le emozioni e le fantasie che ci procura una esperienza sessuale. Da queste potremmo notare in noi due parti, una di cui siamo consapevoli che facilmente comunichiamo agli altri. Una seconda parte involontaria composta da immagini, sensazioni ed emozioni, che difficilmente riusciremmo a condividere con gli altri.
Potremmo avvertire una forma di disagio psicologico, un sintomo, qualora fossero lontane dalla nostra personale conoscenza e inaccettabili per noi. I sintomi (le parole del corpo), se ascoltati, richiamano la nostra attenzione. Con essa realizziamo e manteniamo un dialogo tra le parti volontarie e non, che usiamo per la nostra crescita. Questo dialogo integrativo, portato avanti per tutta la vita e per ogni caratteristica, ci consente di accrescere il senso di unità e d’identità alla base del nostro benessere psicofisico.
Il dialogo esterno
L’Alterità esterna a noi comprende gli eventi e le persone che incontriamo durante la nostra vita. Non esiste un Io preso in sé, ma solo l’Io della coppia Io-Tu e della coppia Io-Esso (Buber). Tale affermazione esprime il nostro bisogno d’incontrare l’Altro fortemente durante tutta l’esistenza. Infatti, per vivere bene dobbiamo appagare il bisogno/desiderio di essere riconosciuti e confermati per ciò che siamo (Stanghellini, 2017).
La sessualità è una modalità comunicativa, mediante la quale appaghiamo il bisogno d’incontrare con l’Altro nella forma più completa. Essa ci consente, la soddisfazione biologica, il piacere dell’incontro psicologico e la gioia della procreazione (Ariano, 2008). Siamo portati a pensare molto idealmente, che la naturalità di questa caratteristica, ci permette un facile incontro con l’altro, ma spesso è solo un’illusione. Essa si presta facilmente a possibili frustrazioni già all’incontro con le parti di sé stessi ma soprattutto con l’Altro. La diversità di cultura, costumi, desideri, valori, progetti, personali, ci dà la dimensione della nostra e altrui Alterità (soggettività).
Freud afferma: “siamo perversi polimorfi”. Solo un impegnativo dialogo tra le parti di sé (intrasoggettivo) e con l’Altro (intersoggettivo) ci consente talvolta un incontro vero e pieno (con l’Alterità). Jaspers afferma: l’essenza dell’uomo è la tragica consapevolezza dell’inaccessibilità dell’Altro. Ciò vuol dire che conoscere l’Altro significa, renderci conto che non possiamo mai conoscerlo fino in fondo, resta sempre una parte che ci sfugge. Il fallimento dell’incontro con l’Altro, non è una eventualità così difficile. Il mancato riconoscimento ci fa sperimentare dei sintomi dovuti al conseguente disagio. Essere sensibili al richiamo dei sintomi, può aiutarci a rivedere il dialogo per migliorarlo ed evitare di scivolare in una franca patologia mentale.
Il dialogo interrotto
L’esperienza della sfuggente dell’Alterità interna a noi stessi e con Alterità dell’Altro, ci accompagna sempre nella continua crescita. La sofferenza mentale, può essere vista come una conseguenza della difficoltà di mantenere vivo il dialogo con l’Alterità. Il mancato dialogo interno tra le parti di sé può essere espressione di condizionamenti dovuti ai valori ambientali (Stanghellini, 2008) che ci sfuggono.
La depressione post partum ne è un esempio: dove il desiderio della donna di una maternità, le ha oscurato la consapevolezza delle responsabilità che comporta. Il blocco depressivo del promettente studente universitario, che per una idealizzazione delle proprie capacità si angoscia oltre misura per le naturali incertezze.
Le depressioni dovute al fallito dialogo con l’Altro, sono innumerevoli per cui ne citiamo solo alcune. La depressione da pensionamento o in caso di una relazione lavorativa conclusa drasticamente, o conseguente ad un eventuale mancato riconoscimento. La rottura di un dialogo amoroso e non solo, per la difficoltà di un incontro tra i partner, può causare sofferenza e addirittura uno stato depressivo con risvolti anche drammatici.
Conclusione
La storia dell’umana sofferenza psicologica legata a fallimenti comunicativi la sperimentiamo di continuo, per fortuna non sempre in modo drammatico. Prenderci cura dei momenti dolorosi, può dar vita ad un cambio di prospettiva esistenziale e stimolare una crescita personale soddisfacente.
Francesco Cervone
Bibliografia
- Ariano G. (2008) Esercizi di Intersoggettività I valori tra relativismo e intersoggettività. Edizioni Sipintegrazioni Atripalda (AV).
- Stangellini G. (2017) Noi siamo un dialogo. Raffaello Cortina Editore, Milano
- Stanghellini G. (2008) Patologia del senso comune. Raffaello Cortina Milano
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