Ho letto tutti i romanzi polizieschi di De Giovanni aventi come protagonista il commissario Luigi Alfredo Ricciardi (alla cui lettura si rimanda per i riferimenti bibliografici) e, per natura o “vizio” professionale, mi sono incuriosita a studiare le caratteristiche psichiche del commissario Ricciardi, per cercare di capire come Luigi potesse essere diventato così malinconico. Tutte le citazioni in corsivo son prese dai romanzi grazie alla mia abitudine a sottolineare brani salienti.
Luigi, nato nel 1900, così descrive la sua infanzia: “ero il figlio del barone, non avevo molti amici. Passavo il tempo a giocare da solo”. Il padre morì quando il figlio aveva 3 anni lasciandolo ad una madre, bellissima e triste, con i grandi occhi verdi disperati, che gli leggeva pagine di libri, ma possiamo dedurre, molto riservata, malinconica e dallo scarso contatto fisico con il figlio. Morì anche lei, presto, “pazza”.
“Sono stato in collegio, dai preti” e Luigi era un taciturno “in collegio, dai gesuiti, che si teneva sempre in disparte e faceva un po’ paura, venendo perciò ignorato da tutti”. Per la distanza sociale non aveva avuto amici, ma riempiva la solitudine con amici immaginari; la tata “Rosa ricordava che quando il signorino era piccolo, al paese c’era un gruppo di ragazzacci che lo perseguitava…ridevano al suo passaggio…Luigi Alfredo ne soffriva molto, anche se non ne parlava mai, e lei lo intuiva dallo sguardo triste”.
Per sviluppare una personalità di tipo malinconico sono importanti esperienze ripetute di perdite, di separazione, di rifiuto nel corso dello sviluppo. Non basta infatti una sola perdita precoce per predisporre alla malinconia. Queste esperienze negative portano a stati di tristezza, rabbia e angoscia che, poiché, sono esperite per tanto tempo, portano il bambino Luigi a diventare un uomo introspettivo e viscerale. “Era sempre stato un uomo cupo e di pochissime parole, che si concedeva al massimo qualche tagliente, improvvisa ironia.”
Per il suo umore sempre triste è tenuto a distanza da colleghi e sottoposti, tranne Maione (il maresciallo) e Modo (il medico). De Giovanni ci dice che il commissario Ricciardi “non aveva amici, non frequentava nessuno” con un comprensibile atteggiamento diffidente verso la realtà e verso gli altri. La sua vita affettiva è vuota, sebbene ami a distanza Enrica, una timida vicina di casa di alcuni anni più giovane di lui, con la quale scambia solamente occhiate dalla finestra, non sapendo di essere osservato a sua volta dalla ragazza.
Dice Rosa, la sua tata “Dovete sapere che di carattere quello è un poco chiuso, come si dice…riservato, timido. Insomma, non è il tipo che si fa avanti facilmente. Secondo me si mette paura di essere rifiutato.” Il commissario Ricciardi risponde: “Questo sono io, Enrica…Che ti può dare, uno così? Quale vita? Quale amore” … “Sapessi che inferno ho nel cuore, e quanto vorrei invece starti vicino come un uomo qualunque” …”Quell’uomo, sapete, prova un sentimento fortissimo… Ma ne è terrorizzato, perché vede gli effetti di quel sentimento nella vita di ogni giorno. E pensa che allora tenerlo fuori dalla propria vita, e tenersi fuori dalla vita delle persone che gli sono care, sia il modo migliore di far loro del bene”.
Come possiamo vedere l’atteggiamento iniziale nei confronti dell’amore è quello di paura/evitamento, per ridurre il rischio del rifiuto o della perdita. Man mano che la relazione andrà stabilizzandosi, e il legame con Enrica non può più essere ignorato, il commissario riconoscerà come affidabile Enrica e confidandole la sua profonda disperazione e il dolore della sua anima, lei lo accoglierà giurandogli amore eterno.
Il lettore potrà giustamente chiedersi: “ma uno così è depresso?” la risposta è no! La depressione è una patologia. Per fare diagnosi di depressione occorrono tutta una serie di segni e sintomi che il commissario/barone non ha, perché la sua tristezza non è una emozione distruttiva.
Luigi è in grado di affrontare la situazione che provoca tristezza e a superarla; è capace di non cadere preda di queste emozioni, riuscendo, quindi, a trovare vie di uscita. Il segreto è anche nell’intensità dell’esperienza di rifiuto nel corso dello sviluppo.
E questo lo capiamo dalle parole di Rosa che gli ha donato sempre amore e così facendo lo ha preservato dalla depressione. Dice Rosa: “Il signorino mio si è preso tutto l’amore che tenevo nel cuore” … “Il signorino mio l’ho tenuto in braccio molto più io della baronessa stessa”.
Credo sia corretto sottolineare che, in questi anni, a differenza del passato, questo tipo di personalità, causate da storiche ferite, prodotte da genitori rifiutanti, o abusanti, o indifferenti, e che portano ad un certo modo di emozionarsi, centrato sulla tristezza e sulla rabbia, sia più rara.
Oggi è il vuoto ad essere protagonista. Si cerca la propria identità attraverso l’altro, cui cercare appoggio, e, nel momento in cui si perdono dei punti esterni di riferimento si percepisce il vuoto, vissuto in termini angoscianti. La depressione vera di oggi, in realtà, è un senso di vuoto senza fine e ed è caratterizzata da un senso di annullamento, di annichilimento, di frammentazione, di spaesamento
Immacolata d’Errico
Bibliografia
Nardini M, d’Errico I: The Persisting Sadness, An Inclination To Become Emotional: The Case Of Inspector Ricciardi Gifted With The Capacity to Feel Pain. Psychiatria Danubina, 2018; Vol. 30, Suppl. 7, pp.574-576.