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Distimia: che problema!

Tutto filava liscio. La distimia era la distimia. Il disturbo depressivo persistente era un disturbo depressivo persistente. Ma per complicarsi la vita gli studiosi hanno incominciato a studiare!

Incominciamo: “La distimia c’è ma non si vede”

La distimia o disturbo depressivo persistente è un disturbo dell’umore. Può essere definito come una depressione cronica con sintomi più lievi rispetto alla depressione maggiore.

A volte le depressioni croniche e quelle non croniche spesso non si distinguono facilmente. soprattutto se non si ricerca la storia della malattia. Per diversi motivi, sia i recatori sia i clinici non ne valutano le differenze. La conseguenza è una eterogeneità della diagnosi che può creare una grande confusione (Rhebergen e Graham, 2014).

Nel settembre 2020 in piena crisi pandemica da COVID-19 uscì un articolo su The Lancet Psychiatry. La prof.ssa Elisabeth Schramm del Department of Psychiatry and Psychotherapy, della Università di Freiburg in Germania agitò le acque. Osò affermare che “tra le due patologie non ci sono poi così tante differenze!”.

Tra le varie problematiche c’era la questione della cosiddetta “distimia pura”. Alcuni ricercatori sostenevano che doveva essere distinta dalle forme più gravi di depressione cronica.

Ricordiamo che secondo il Manuale Diagnostico e Statistico dei Disturbi Mentali (DSM-5) la distimia deve aver caratteristiche ben definite. Ha sintomi più miti della depressione maggiore che devono essere presenti, però, per almeno due anni.

Questi autori sono sostenitori dell’idea che per il fatto che la “distimia pura” sia meno grave, essa potrebbe essere trascurata clinicamente. “La distimia può nascondersi”, sostengono, “dietro” un temperamento depressivo”. Da qui la tendenza a sottovalutarla, a trascurarla, a non ricercarla e, quindi, a non curarla. Elisabeth Schramm, invece, gridava con forza che “la distimia sarà pure più mite, ma determina lo stesso gravi conseguenze sulla qualità della vita dei soggetti”. “Decidiamioci a curarla!” (Schramm et al, 2020).

Dove osano i ricercatori nella distimia

Il principale suggerimento è: “La valutazione del disturbo depressivo persistente deve essere effettuata in maniera diversa dalla depressione non cronica!”. E pertanto? Qual’è la novità di tale suggerimento? La particolarità di questa osservazione, che appare ovvia, sta nella semplicità della osservazione. Bisogna e devono essere conosciuti e riconosciuti i sintomi “lievi” della distimia. Le scale di valutazione della distimia non aiutano nella diagnosi e hanno anche grossi limiti.

Spinti dalla necessità di capirne di più, questo gruppo di ricerca consiglia di approfondire le indagini genetiche e neurobiologiche della distimia. Le conoscenze in questi campi di ricerca sono rimaste indietro rispetto a quelle del disturbo depressivo maggiore, mentre dovrebbero avere la priorità.

Ricercare, ricercare ancora e indagare. È il messaggio degli autori. Trovare terapie mirate. La psicoterapia, ad esempio, sembra essere meno efficace per la distimia rispetto al disturbo depressivo maggiore, forse solo a causa del trattamento ritardato (Carta et al. 2019). Probabilmente anche per la sottovalutazione del rischio della malattia non ci si rivolge allo specialista in tempo.  Per questo, è fondamentale la diagnosi precoce della distimia. I farmaci, poi, sono quelli della depressione maggiore. Ricercare, ricercare e indagare farmaci specifici. Questa è la sfida.

La differenza c’è e si vede

Stimolati dalle critiche precedenti alcuni autori hanno iniziano la ricerca delle cause “perdute” e delle loro conseguenze. Ching-I Hung e i suoi colleghi (2022) alla ricerca delle differenze tra i due principali disturbi depressivi hanno trovato qualcosa nel cervello. Presso il Dipartimento di psichiatria dell’Università Chang Gung di Taiwan hanno “fotografato” con la RM funzionale alcune aree cerebrali di persone affette da depressione maggiore e altre da distimia. La zona interessata corrispondeva ai nuclei sottocorticali, dei quali i più importanti componenti sono il nucleus accumbens e il putamen.

Ebbene qualcosa è emerso! Il gruppo affetto da distimia aveva una maggiore riduzione del volume della materia grigia nel lato destro del nucleo detto putamen e nel nucleus accumbens. Tale assottigliamento di volume aumentava dopo tre anni di malattia.

Quindi i risultati indicano che l’andamento cronico della distimia, pur avendo sintomi più lievi, può determinare un maggiore danno in queste importati zone cerebrali.

Conclusioni (morale della favola)

Mai sottovalutare sintomi lievi. Anzi devono essere intercettati e diagnosticati il più presto possibile. La distimia è, infatti, un disturbo importante che determina problemi nella qualità della vita quotidiana delle persone. Non deve esser trascurata. In questo modo si può evitare la cronicizzazione della malattia legata anche all’incremento dei danni organici cerebrali. Bisogna evitare che diventino irreversibili. Conoscere, riconoscere e curare è possibile. Questa è la strada!

Francesco Franza

Bibliografia

  1. Schramm E et al.  Review of dysthymia and persistent depressive disorder: history, correlates, and clinical implications. Lancet Psychiatry 2020;7:801-812.
  2. Hung CI et al. Differences in gray matter volumes of subcortical nuclei between major depressive disorder with and without persistent depressive disorder. J Affect Disord 2022;19:S0165-0327(22)01212-5.
  3. Carta MG et al.   Current pharmacotherapeutic approaches for dysthymic disorder and persistent depressive disorder. Expert Opin Pharmacother 2019;20:1743-1754.
  4. Rhebergen D, Graham R. The re-labelling of dysthymic disorder to persistent depressive disorder in DSM-5: old wine in new bottles? Curr Opin Psychiatry 2014;27:27-31

Foto: Envato Elements

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