Periodico dell’ EDA Italia Onlus, Associazione Italiana sulla Depressione

Cineterapia Mon Amour

Questo articolo propone riflessioni sull'uso del cinema in ambito psicologico. La cineterapia può essere utile come autoaiuto emotivo-cognitivo e adiuvante una psicoterapia.

Introduzione

Cineterapia è un neologismo coniato per indicare diversi ambiti di interesse delle discipline del mondo della psiche. L’accezione più diffusa è quella di intendere l’uso della visione di film come autoaiuto emotivo e meno frequentemente cognitivo. In tal senso la cineterapia viene molto promossa nel counseling e nel life coach in tutto il mondo occidentale.

Per cineterapia si intende anche un percorso adiuvante una psicoterapia, sia come mezzo per ridurre le resistenze, sia come occasione di esplorazione dei vissuti. Un terzo significato alla cineterapia sta a intendere il rapporto fra gli psicoterapeuti e il cinema, nate oltre cento anni fa nello stesso anno. Dopo il lockdown dovuto alla pandemia, nessuno più pone dubbi sulla utilità per la psiche di usare il cinema per trarne giovamenti.

Storia della cineterapia

Negli ultimi quarant’anni il mondo degli studiosi della psiche ha rivolto le attenzioni intensamente al cinema, cercando di studiarlo per analogia. La facilità di accesso ai film tramite televisione o videocassette VHS negli anni ‘80 ha fatto sì che il cinema venisse considerato un formidabile catalizzatore, allo stesso tempo singolo e collettivo. Uno dei pionieri della relazione fra cinema ed emozioni profonde fu l’italiano Cesare Musatti, psichiatra e psicoanalista.

 Musatti studiò a fondo con inventiva l’evento della proiezione cinematografica: fece piazzare delle cineprese con pellicola sensibile a riprendere bambini che guardavano Biancaneve della Disney. Analizzando poi il girato notò che la simpatia esternalizzata dal giovane pubblico non era rivolta esclusivamente a Biancaneve, ma, udite udite anche verso la strega cattiva. Musatti aveva fotografato la componente sadica. Chissà se lo zio Walt apprezzò la cosa. Certo è che non fu dato molto risalto e l’interesse per il cinema capace di slatentizzare l’inconscio divenne materia di interesse più degli psicoanalisti dei vari orientamenti.

Si tendeva a dare quasi una lettura autoriale, per cui registi prevalentemente europei come Fellini, Antonioni, Bertolucci diventavano dei medium o forse meglio traghettatori dell’inconscio. Era pur sempre una conoscenza d’élite.

Cinema e Psiche

Sul versante semiologico il rapporto fra cinema e psiche fu portato avanti da Christian Metz e Ronald Barthes, autore quest’ultimo di una complessa ma geniale intuizione sulla narrazione cinematografica definita «per unità traumatiche».

Un film, pertanto, può arrivare nella profondità dell’essere. L’oscurità e l’intimità di una proiezione cinematografica possono diventare il contenitore in cui il non detto, il non accettato e il non compreso trovano la possibilità di snodarsi e diventare coscienti. Quasi fosse un gene di difficile trasduzione, l’inconscio, secondo concordi studiosi, troverebbe le condizioni ideali grazie al visivo, innescando così quella lenta decifrazione del codice del sé altrimenti, forse, silente ma non inerte. Un codice in perfetta analogia con l’abc della psicologia: identificazione, proiezione e rimozione sono tutte dinamiche della psiche che possono agire nello spettatore.

Cineterapia e psichiatria

Va detto che la figura dello psichiatra non ha avuto sempre valenze positive nei ritratti cinematografici. Gabbard (1999) lo ha ben descritto nel suo libro, individuando anche validi motivi a giustificare uno stigma verso i medici della mente. Ma su questo tema ritorneremo in futuro su queste pagine.

Negli anni 90 il cinema venne preso sul serio dai clinici. Si cominciò a pensare che i dinamismi psichici stimolati dalla visione dei film potessero essere usati e integrati nei percorsi psico-educativi e riabilitativi. Essi sono riconosciuti e maggiormente usati dalla comunità scientifica. Il cinema diventava spendibile nella prospettiva bio-psico-sociale e con esso anche il suo contributo antropologico per la psicologia sociale.

La diversità proposta nei film non riguardava spesso più il singolo ma il rapporto fra singolo e società. La psichiatria stava rivalutando l’eredità del ‘68, con ritardo, come sempre, ma con grande vantaggio terapeutico.

Gli stigma e il cinema

Va aggiunto e introduciamo il tema degli stigmi. Nella commedia ilare italiana l’elemento comico spesso era il latore di una neuro-diversità o attribuita tale. Il matto faceva ridere le masse al cinema, insomma. Ma c’è altro: il cinema può trasformassi in un micidiale boomerang per la psichiatria. Le masse, di cui sopra, spesso associano, per mancanza di una conoscenza diretta, alcune malattie mentali alle loro perverse, violente, cattive o francamente criminali rappresentazioni proposte in alcuni film.

È importante, quindi, che il cinema e il mondo della psiche s’incontrino e dialoghino di nuovo come negli anni ‘90. Venire discriminati significa non curarsi. Senza cure si sta male. È noto ormai che i disturbi psichiatrici vengano presi in carico in modo formale e sostanziale in media cinque anni dopo che hanno prodotto i primi sintomi di malattia. Questo sembra chiaramente legato alla difficoltà di valutazione, propria e dei familiari, legata sempre allo stigma ed al pregiudizio. La discriminazione produce la perdita dei più elementari diritti, basti pensare alla facilità con cui queste persone perdono il proprio lavoro.

Lo stigma è capace di annientare il lavoratore, la persona, l’uomo ancor prima che la malattia “da manuale” faccia il suo corso. Per questo è una priorità sociale, prima che medica, la necessità di un’ottima divulgazione mediatica e promozione sociale. È necessario coinvolgere possibilmente tutti gli attori, non solo sociali ma anche culturali, come gli artisti visivi e i registi, senza scomodare i grandi nomi. C’è molta più ricerca di autenticità, narrazione e sperimentazione in quello che viene definito cinema indipendente. Un grande obiettivo che si può raggiungere senza scomodare i divi hollywoodiani.

Luigi Starace

Bibliografia

  1. Barthes RolandSul cinemaIl Nuovo Melangolo Editore, 1994
  2. GabbardGlen O & Gabbard KrinCinema e psichiatria, 1999 Raffaello Cortina Editore
  3. MetzChristina, Cinema e psicanalisi MarsilioEditori, 2006
  4. Musatti Cesare (1961), Psicologia degli spettatori. In Dario F. Romano (a cura di), Scritti sul cinema, Testo & Immagine, Torino, 2000.

Sitografia

  1. La mente altrove Cinema e sofferenza mentale, Franco Angeli. Recensione di Luigi Starace https://www.psychomedia.it/pm-revs/books/demari-marchiori-pavan.htm
  2. Psicoanalisi, psicologia e cinema, SpiWeb                                                      www.spiweb.it/cultura-e-societa/cinema/psicoanalisi-psicologia-e-cinema

Podcast

     Cinema e psichiatria, La serie – Pol-it

Foto: Cineterapia-Onirica, di Luigi Starace, 2023

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