Plausi e congratulazioni sono piovute con abbondanza sul mondo della ginnastica per le bravissime “farfalle” e tanti hanno esultato per questo splendido risultato. Lo stesso accade ripetutamente, quando si assiste ai saggi di danza o di ginnastica artistica o di altri sport. L’agonismo e la prestazione diventano spesso una religione alla quale è impossibile sottrarsi. Trionfare, vincere, salire sul podio, diventano un dovere più che un piacere.
Inutile dire che questi sentimenti appartengono anzitutto al mondo adulto, allenatori in primo luogo e genitori successivamente. Adulti che riversano aspettative onnipotenti e crudeli su una infanzia ancora in crescita. Trasformano un momento ludico e di formazione in una vita infernale e dolorosa.
Prima di affermare che lo sport fa bene occorre osservare il modo di operare degli allenatori.
Perché lo sport e la danza, nonostante i buoni propositi, fanno spesso molto male
Nina Corradini e Anna Basta, giovanissime “farfalle” della nazionale azzurra hanno gridato ai quattro venti la loro disperazione. Raccontava Anna Basta: “Per la ginnastica ho tentato due volte il suicidio”. Lei è bolognese e – si legge su Repubblica – ricorda bene le notti passate in piedi, a piangere. Per due volte, l’ex stella della Nazionale di ritmica ha pensato al suicidio. “Una volta non ho agito perché è entrata una persona in stanza e mi sono scossa. La seconda ero in mezzo alla gente”.
Dovremmo prestare più attenzione alla relazione tra sport e depressione, tra sport e ideazione suicidaria, tra sport e disturbi alimentari e altre malattie psichiatriche. Lo sport è profondamente inquinato da aspettative adulte che minano i suoi fondamenti e i suoi valori. I segnali sono tanti: basta osservare lo spettacolo di quei numerosi genitori che urlano dagli spalti contro i loro figli e quegli altrui per prestazioni giudicate scadenti della propria squadra. Non parliamo delle offese lanciate contro le squadre altrui che potrebbero competere con i peggiori slogan inventati da ultras da stadio. E poi ci sono gli allenatori che sui bambini investono la loro carriera e la loro immagine.
Il terreno che viene a crearsi è spesso dannoso per le giovani farfalle!
Bambini e giovani trasformati precocemente in macchine, in oggetti da esibire, da plasmare, modellare. I loro corpi diventano argilla nelle mani di un vasaio disattento e crudele, che vede nelle loro anime un ostacolo più che un fiore da coltivare. La fame, il dolore, la paura, la gioia, tutto ciò che dovrebbe animare lo sport e renderlo luogo di formazione umana, diventano fastidiosi e ingombrati accessori. Elementi devianti che disturbano e allontanano dal risultato. Conta solo la prestazione, la vittoria, il successo.
Il risultato è che le nostre farfalle hanno ali bellissime, una movenza graziosa e un’arte di muoversi eccellente ma non hanno più voglia di volare. Un mondo disattento ha rubato la loro infanzia, si è impadronita delle loro vite e ne ha fatto macello. Le farfalle, le danzatrici e i tanti ragazzi che si sono avvicinati allo sport con speranza e passione si ritrovano un animo privo di gioia. Vivono un senso di delusione e di fallimento che prelude alle ben note problematiche di cui ci occupiamo noi psichiatri e psicologi.
Che fare?
Dovremmo attivare una campagna di prevenzione e di informazione sui pericoli di un certo modo di fare sport e danza. Ponendo anzitutto al centro l’importanza formativa di queste discipline e mettendo in guardia dalle deviazioni pericolose che adulti senza scrupoli possono causare. Aiutare i genitori a valutare la qualità relazionale degli allenatori e formare questi ultimi a una relazione più sana. Abolire l’agonismo spinto nella fase di crescita, obbligando allenatori e società a valorizzare tutti gli allievi. Ricordare a tutti che lo sport deve essere anzitutto gioia di vivere, passione, rilassamento e piacere.
Lo sport e le discipline artistiche sono meravigliosi. A noi non trasformarle in un inferno, in un luogo in cui non si insegna a volare ma soffrire.
Gino Aldi
Foto: Envato Elements