Introduzione
Penso possa esser capitato a tutti di ricevere una notifica di Facebook: il remainder del compleanno di una persona cara, mancata magari da poco, che riapre un dolore. Nell’epoca della digitalizzazione non si muore mai, si rimane vivi. Vivi per sempre, congelati in una foto, in un post, in un video, nel tag di qualcuno con cui si è condiviso qualcosa. Eternamente vivi e impossibilitati a scomparire… un continuo rinnovare il dolore per chi resta o fonte di un piacere dolce-amaro?
Le nuove frontiere della morte nei social network
Anche i social network si preparano a gestire la morte. Un’applicazione IFI die (sito 4) permette di preparare testi, foto, commenti o altro che verranno pubblicati dopo la propria morte (sito 2). L’applicazione consente di scegliere anche la data precisa di pubblicazione; prolungare l’esistenza in vita anche nella morte… una sorta di immortalità. Risorsa o abominio di un pensiero che colloca l’esistenza fittizia al pari di quella reale? Balsamo per le ferite di chi resta o rinnovo di un dolore? …. D’altro canto oggi sui social sono messe in mostra le vite: nascite, fidanzamenti, eventi, malattie: perché non la morte? Morire sui social è come non morire mai.
My Death Space è un sito che crea pagine bibliografiche delle persone decedute con collegamenti ai loro profili social.
In alcuni paesi, un QR Code vi porta sulla pagina di profilo social della persona morta.
Nuove frontiere del dolore e della perdita.
E se si arrivasse alla fantascienza…
In Black Mirror un episodio narra della creazione di un software che permette ad una delle protagoniste di comunicare con il compagno morto (sito 3). L’episodio è “Be right back”, seconda stagione di Black Mirror, serie tv britannica disponibile su Netflix. Il software ricrea a partire dai dati immessi la personalità e le caratteristiche, fisiche e non, della persona morta (sito 7). Per ora fantascienza? E se fosse realtà? Ciò che per ora è solo la fantasia di un episodio di una serie potrebbe diventare realtà? Cosa ci consegnerebbe: un mondo scisso in cui reale e irreale sarebbero così interconnessi da non permetterci di comprenderne la separazione.
Lo scenario che si prospetta è confusivo. Le persone muoiono tutti i giorni e molti social non contemplano la chiusura dei profili. Milioni di persone che non ci sono più i cui dati (foto, parole, ricordi ecc.) continuano a fluire nel web. Pubblico e privato inseparabili in eterno. Byung-Chul Han uno dei principali critici della rivoluzione digitale di questi anni li chiama “spettri digitali” (Sisto, 2018). Per non parlare delle morti di persone celebri con centinaia di meme, foto, notizie che spettacolarizzano e banalizzano, contemporaneamente la vita e la morte.
Quello dell’occidente con la morte è un difficile rapporto. Basta pensare alle parole usate a luogo di morte: “scomparso”, “andato”, “mancato”, “salito al cielo”, “andato al camposanto”. Nel web questo complicato e delicato rapporto viene stravolto. Tutto è ributtato lì, nudo e crudo. Una mancanza enorme che può venir riproposta all’infinito, banalizzata.
Identità social, morte e tutela della privacy
Il nostro essere sui social costituisce un delicato problema di privacy che le norme stanno cercando di colmare. E forse anche di sicurezza? Perché quel materiale può essere usato per fini poco puliti come purtroppo le cronache riportano spesso.
Brevemente vediamo come i vari social perlomeno i più noti gestiscono la delicata materia dei profili dopo la morte del proprietario. Facebook permette di nominare un “contatto erede” che gestisca le cose dopo la morte. Possibile anche la creazione di account commemorativi (travate le specifiche sul sito). È possibile anche la rimozione totale, ma richiede molto tempo e non è automatica. Twitter permette la disattivazione da qualcuno autorizzato, così Instagram.
Le norme che regolano la materia
A livello europeo, il diritto alla privacy online è regolamentato dal Regolamento Generale sulla Protezione dei dati UE/2016/679 (GPDR). Il GPDR sottolinea come all’erede non spetti incondizionatamente il diritto di accesso ai dati del defunto, ma serva una valutazione su un reale interesse di tutela. In Italia, il codice della Privacy (D.LGS. 196/2003), fa riferimento ai “Diritti delle persone decedute” e rimanda alla necessità di valutazione di un reale interesse del familiare a esercitare una tutela alla privacy. Il codice della privacy sottolinea la non ereditabilità diretta del materiale che rimane proprietà di chi muore (sito 8).
Alcuni consigli, in materia di protezione arrivano dal Consiglio Nazionale del Notariato (per approfondimenti: Decalogo Identità Digitale). Si sottolinea l’importanza di tutelare in morte ciò che si è prodotto in vita, senzienti e consapevoli della diffusione di materiale. In particolare: affidare a qualcuno di fiducia le proprie password con le istruzioni di cosa fare di quel materiale: distruggerlo, conservarlo ad uso personale, ecc. (sito 8).
Quel materiale può essere un legame importante e colmare di ricordi chi rimane dopo di noi. Un materiale che non deve comparire un giorno qualunque in un momento qualunque a ricordare una perdita dolorosa. È importante che sia frutto di una scelta consapevole, pensata e personale. Morte e vita che si dipanano nel nostro quotidiano e nei nostri rapporti con il digitale.
Patrizia Amici
Bibliografia
- Sisto D. la morte si fa social. Immortalità, memoria e lutto nell’epoca della cultura digitale. Bollati Boringhieri, Torino, 2018.
Sitografia
2. www.linkiesta.it/2012/08/ se-una-persona-muore-unapp-custodisce-le-sue-ultime-parole/
3. www.netflix.com
5. www.digitaldeath.eu
6. notariato.it/wp-content/uploads/ereditx_digitale.it : decalogo identità digitale
7. www.sociologicamente.it (La morte ed i social network, 10 ottobre 2022)
8. www.helpconsumatori.it (l’informazione per il cittadino responsabile, 2 novembre 2022)
Foto: Envato Elements