Introduzione
Il lutto è un processo fisiologico il cui fine è accettare la morte di una persona cara. È un’esperienza dolorosa che esita nella separazione definitiva dall’altro. Perdiamo una persona con cui abbiamo intrecciato il nostro racconto di vita e intessuto una tela comune. Con il lutto muore anche una parte di noi. Ed è come se quella parte di noi ci venisse strappata! Per questo, possiamo dire che attraverso il processo del lutto, noi “curiamo” noi stessi.
Stringimi forte
È il nuovo film del francese Mathieu Amalric, presentato a Cannes nel 2021. È il racconto di un lutto vissuto ai limiti della follia. Un film di cui non si può dire molto della trama! Un film che mescola tempi, realtà e immaginazione. Un film/mosaico di tessere che non facilmente combaciano. Slittamenti, sfocature, sovrapposizioni, ipotesi che si traducono in scene/frammenti che vanno ripensati a lungo per cercare di ricomporli in un unico intellegibile. https://www.filmtv.it/film/187867/stringimi-forte/recensioni/1004900/#rfr:film-187867
Clarisse va via
Il film inizia con Clarisse, protagonista e voce narrante il filo delle sue fantasie, che nel chiuso di una stanza, sembra giocare a memory. Gioca accoppiando delle vecchie foto di famiglia e mentre le accoppia ripete convulsamente “Ricominciare! Devo ricominciare!”. Segue l’inquadratura di un papà, Marc, che fa colazione con i figli prima di accompagnarli a scuola. Successivamente, la scena di Clarisse che fa rifornimento nella stazione di servizio di un’amica che le chiede “Stai fuggendo?” “Il mare” è la risposta. In macchina ascolta un nastro degli esercizi al piano eseguiti dalla figlia. Qui sfido lo spettatore a non pensare al banale cliché della donna stanca che abbandona la famiglia in cerca della libertà perduta. https://www.harpersbazaar.com/it/cultura/cinema/a38982463/stringimi-forte-film-recensione-trama/
Inizia il mosaico
Qui inizia una sequenza in cui il figlio più piccolo è triste e sconsolato. Percepisce l’anomala assenza della madre? Nel passaggio successivo Clarisse scatta foto lungo la spiaggia. Poi, con un brusco flashforward (inserimento nel cinema e/o racconto di eventi futuri che spezzano l’ordine cronologico) eccola parlare da sola in un bar. Questa parte sembra scorrere lenta. Lo spettatore cerca informazioni che tardano ad arrivare. Vediamo Clarisse guida turistica, estremamente vulnerabile e sensibile. La vediamo scagliarsi contro uno cliente che ha maltrattato il proprio figlio; poi scappa. Ci chiediamo: ma il marito non telefona? La famiglia sporge denuncia? Niente affatto. I figli si lamentano. Il piccolo, dopo la scena isterica del padre che, in bagno, rovescia tutto quello che appartiene alla moglie, urla “Hai rotto la mamma! Hai buttato i trucchi della mamma!”. E lo spettatore continua a interrogarsi! https://www.ondacinema.it/film/recensione/stringimi-forte.html
Il regista
Amalric semina sapientemente indizi qua e là. Suscita interrogativi senza fornire risposte. Trascina lo spettatore in una narrazione in cui i piani temporali appaiono del tutto sfalsati. Nella composizione/montaggio delle scene, la vita della protagonista e quelle dei familiari non si incrociano mai. Questo induce lo spettatore a immaginare che le scene di vita del marito e dei figli siano come immaginate da Clarisse. Lei lamenta il fatto di non essere stata chiamata. Ma se fosse davvero scomparsa è plausibile che Marc non le avrebbe telefonato? Altra domanda senza risposta! La solitudine di Clarisse, gli interminabili silenzi che fanno da contorno ai suoi pasti in un albergo di montagna, colpiscono le cameriere e lo spettatore. Il regista sovrappone fotogrammi, assonanze, ricordi con il pianoforte suonato dalla figlia, ponte sonoro tra piani spaziali e temporali. Immaginari/immaginati? E Clarisse, in fuga, dice: “non sono stata io ad andarmene via”. Indizio? Si! “Siamo di fronte a un film in qualche modo impressionista, che dice ma non circostanzia, che mostra ma non rivela, che interroga ma non risponde.”
Dubbi nello spettatore sulla sanità mentale di Clarisse
Lo spettatore ha l’impressione di non aver compreso bene l’andirivieni di scene sovrapposte e aggrovigliate. L’intera costruzione narrativa appare un gioco mentale a cui si viene sfidati dal regista Mathieu Amalric. Perché Clarisse è scappata all’alba dalla bella “maison” in cui vive? Il comportamento di Clarisse ci fa dubitare che forse la sua mente è sconvolta, tanto da sovrapporre passato e futuro in un gomitolo inestricabile. Si rincorrono ricordi sereni, gioiosi e ricordi di un’angoscia indicibile, una sofferenza senza fine.
Fino a quando un nuovo senso non sarà in grado di ricomporre la mente e i ricordi! https://www.harpersbazaar.com/it/cultura/cinema/a38982463/stringimi-forte-film-recensione-trama/
Lo svelamento finale
Clarisse è felicemente sposata con Marc. Nel film sono presenti anche scene relative al loro incontro in una discoteca. La coppia ha due bambini: Lucie e Paul. Durante una vacanza in montagna, il papà e i due figli escono nella neve per una passeggiata e non tornano più da Clarisse. Si sospetta che siano rimasti sommersi da una valanga precipitata nella zona. Per avere la certezza i soccorsi devono aspettare sino a che la neve si sciolga in primavera. È un lutto quasi certo. Clarisse deve convivere con l’assenza e la mancanza dei suoi amori. E tra immaginazione e realtà, Clarisse naviga nella speranza di riabbracciare il marito e vedere i figli crescere. Deve fare i conti con un triplice lutto, quello dei figli e del marito. La sua famiglia è annientata. E Clarisse si immerge in un mondo onirico e in fantasie dove è lei ad abbandonare casa e a non farci mai più ritorno. Il confronto con la realtà è pero inevitabile e porta più volte Clarisse ai limiti della follia.
L’elaborazione del lutto in Clarisse
“Un film doloroso e commovente, dove l’amore, anche arrabbiato, trasuda dai ricordi, dalle attese.(…) risultano del tutto imperscrutabili le strade che il cuore umano intraprende per resistere a una sofferenza indicibile, che può davvero frantumarci in mille frammenti che vagano impazziti. Fino a quando un nuovo senso non è in grado di ricomporre la mente e i ricordi. Adattato liberamente da una pièce teatrale di Claudine Galéa (Je reviens de loin), con musiche di Chopin, Debussy, Rameau, Ravel, Beethoven, Mozart, Rachmaninov.” (Fulvia Degl’ Innocenti, 2022)
Il lutto è normale o patologico?
È mia opinione che il lutto non debba essere letto in termini di normatività. Dipende da una serie di situazioni, le più varie, legate alla storia personale della persona che muore e di chi resta. È in relazione alla cultura, al che cosa si pensa sia l’aldilà, e così via. Questo film ce lo mostra. L’elaborazione del lutto è un’esperienza di grande intensità emotiva e va gestita, vissuta nella vita di tutti i giorni.
L’esperienza luttuosa ci lascia in una condizione psichica di stordimento, non sappiamo più in che direzione andare. Il non saperlo rischia di essere disgregante per l’identità personale: è come vivere in uno stato di sospensione. Da un lato vi è la rottura di una storia comune antica, dall’altro sparisce l’orizzonte di aspettativa costruito assieme. E cominciano ad emergere una serie di ricordi che non sono più ordinati.” È come se la coscienza vagasse da sola, non sai che fare della vita, cerchi di stordirti! La notte ti assalgono pensieri, immagini, sogni che non ti saresti mai immaginato”. La coscienza deve cercare il riordinamento. E così si cerca di dare un senso alla fine, emerge un nuovo racconto di sé e la storia prende una nuova prospettiva. È come se dalle ceneri della relazione interrotta debba essere riconfigurato un senso coerente di continuità personale. È l’elaborazione del lutto. (Arciero, 2006)
Conclusioni
Clarisse ci insegna che il momento più pericoloso è quando ci si rende conto che l’altro non c’è più. E questa cosa può essere accettata o no! Perché accettarla significa accettare il fatto che è finita definitamente. E questo è il momento più critico per l’insorgenza di una patologia del lutto. Dalla mancata accettazione compaiono fenomeni psicopatologici che non sono altro che un modo per non consegnare all’oblio una persona amata che non c’è più. Alla luce di ciò comprendiamo Clarisse.
Il fatto di mantenere in vita, all’interno della propria intimità, una presenza che non vogliono lasciare andare, è propria dei genitori che hanno perso dei figli. Il genitore che ha perso un figlio mai arriverà ad una soluzione di lutto. È un modo di continuare a vivere, integrando questa perdita nella condizione stessa dell’esistenza. E Clarisse attraverso i suoi viaggi, voli onirici e fantasie, dà forma alla perdita della sua famiglia, non assimilabile in altro modo.
Immacolata d’Errico
Bibliografia
- Arciero GP. – lezione sul lutto del 9.4.06 presso la scuola di specializzazione in Psicoterapia Cognitiva Post-Razionalista
- Fulvia degl’Innocenti – Quella donna in fuga dal dolore. Famiglia Cristiana del 03 Febbraio 2022.
Sitografia