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Star male senza scuola

Report del primo lockdown ed intervista a due studenti della scuola secondaria di secondo grado della città di Bergamo

L’improvvisa e prolungata chiusura della scuola per l’esplodere della pandemia nella scorsa primavera ha creato, soprattutto negli adolescenti, disorientamento e disagio, più di quanto essi stessi avrebbero immaginato.
A partire da mercoledì 26 febbraio 2020, a causa del rapido diffondersi del Coronavirus, le scuole lombarde di ogni ordine e grado vennero chiuse. Tale chiusura sarebbe stata irreversibile: nessun alunno poté, infatti, più rientrare nei locali scolastici, fino al settembre successivo, dai più piccoli ai più grandi.


Soltanto gli alunni delle quinte secondarie di secondo grado avrebbero fatto ritorno nel loro Istituto prima della pausa estiva. Il giorno dell’orale dell’Esame di Stato, peraltro unica prova, come stabilito dal Ministro dell’Istruzione, vista l’eccezionalità della situazione. Nell’arco di un’ora di un solo unico giorno si consumavano allo stesso tempo la gioia del rientro e la malinconia per un addio definitivo.

Un ultimo intenso sguardo ai loro “prof” e a quel un luogo desiderato e sognato per mesi; lacrime ed emozioni forti nell’impossibilità di un abbraccio che potesse segnare la degna conclusione di un lungo percorso scolastico. Per tutti gli altri, il rientro a scuola in presenza si è realizzato il 14 settembre, con mascherine e distanziamento sociale.


Nel corso di questo autunno, i rappresentanti della Consulta provinciale studentesca (Organismo istituzionale di rappresentanza degli studenti della scuola secondaria di secondo grado) della città di Bergamo, la più tragicamente colpita dalla pandemia, hanno ritenuto opportuno dare voce ai loro coetanei, raccogliendo testimonianze e impressioni legate a un periodo così drammatico della loro esistenza.


Non è difficile immaginare come il dato che ha accomunato tutti, al di là del dolore per la perdita di persone care, sia stato la mancanza dei contatti sociali e, soprattutto, della scuola.

La scuola e le lezioni a distanza

La scuola, da sempre oggetto ambivalente di amore/odio per gli studenti di ogni tempo, era divenuta inaspettatamente “colei” che riempiva la vita. Dava un senso alle proprie giornate, qualcosa la cui assenza adesso procurava un vuoto profondo. All’improvviso niente più levatacce e uscite di buon mattino, soltanto calma, noia e monotonia.

Ai primi di marzo 2020 le ore di lezione hanno iniziato a svolgersi con modalità a distanza. Si sono svolte in mezzo a mille difficoltà e non in tutti gli istituti scolastici. Eppure, nonostante l’imperfezione e l’incompletezza di tale “surrogato” di scuola, il dovere e l’impegno quotidiano si rivelavano essenziali per conservare attenzione e concentrazione e tenersi ancorati alla vita.

La lezione a distanza rappresentava una sorta di viaggio mentale che distraeva e staccava dalla triste realtà, conducendo verso luoghi ricchi di idee e conoscenze. “Lo sappiamo tutti: un’ora di lezione può cambiare una vita, imprimere al destino un’altra direzione […] Tutti abbiamo fatto esperienza di cosa può essere un’ora di lezione: visitare un altro luogo, un altro mondo, essere trasportati, catapultati in un altrove, incontrare l’inatteso, la meraviglia, l’inedito.” (Recalcati M, 2014)

Intervista a due studenti di Bergamo:
Andrea Paulicelli, presidente della Consulta provinciale degli studenti della città di Bergamo e Nicholaos Perackis, rappresentante della Consulta.

Le risposte di Nicholas Perachis

Perché la mancanza della scuola in presenza ha causato, secondo te, così tanto disorientamento negli studenti?
“Perché si è presa consapevolezza di ciò che è la scuola. Essa è un luogo non solo dedicato alla trasmissione di conoscenze, bensì un luogo in cui coltivare relazioni e sviluppare la propria persona. Infatti, uno dei (pochi) meriti della DaD, supplente lacunoso della natura “nozionistica” della scuola, è che ha fatto sentire la mancanza della parte più umana della scuola. Componente che spesso, poiché data per scontata, viene dimenticata.”

Hai avuto modo di conoscere ragazzi/e che hanno accusato sintomi depressivi e/o ansiosi durante quel periodo?
“La mia realtà è stata tutto sommato tutelata sotto questo punto di vista. Nonostante lo sconforto generale che ha caratterizzato un po’ tutti in quel periodo, non ho conosciuto direttamente miei coetanei soffrire di forme di depressione. Ciò non vale però per il contesto della nostra provincia, che come Consulta abbiamo cercato di monitorare il più possibile.

Verso la fine della prima quarantena, abbiamo diffuso un sondaggio sulla condizione scolastica degli studenti. In esso vi era anche uno spazio per considerazioni personali e osservazioni. Per molti ragazzi, questi spazi bianchi sono diventati luoghi “sicuri” dove poter esternare il proprio malessere. I racconti di alcuni studenti erano caratterizzati dal lutto, altri ancora dal sentirsi soli e soffocati. Denominatori comuni di molte risposte sono stati la noia e la sfiducia nei confronti del futuro e dell’istituzione più vicina a noi ragazzi: la scuola. Infatti sta registrando un tasso di abbandono non indifferente, nonostante la facilità con cui si possa prendere la sufficienza in DaD”.

Le risposte di Andrea Paulicelli


Quale disagio avete sentito più forte durante la prima ondata dell’epidemia?
“Il primo lockdown con sé ha portato un “grande vuoto”. L’annullamento delle relazioni sociali, fatta esclusione per quelle filtrate dagli schermi, è stato davvero surreale e alienante. Questo “grande vuoto” derivava anche dalla sospensione delle attività sportive, che nelle vite di molti adolescenti occupano un ruolo molto importante. La mancanza di queste due componenti, a detta di molti studenti, ha dato vita ai pomeriggi vuoti e dalla luce tiepida della prima quarantena, caratterizzati da libri, serie tv, esperimenti culinari e noia.”

Hai saputo di tuoi coetanei che, a causa delle difficoltà vissute, abbiano messo in atto comportamenti a rischio?
“Situazioni di disagio interiore, affrontabili già con fatica prima della quarantena, sono state gestite con grande difficoltà durante il lockdown. Il tutto sotto l’inevitabile sguardo della continua convivenza forzata con i propri familiari che, eccezione per “motivi di comprovata necessità”, non si sono allontanati dalle loro abitazioni, privando così molti ragazzi della sfera intima e condannandoli a reprimere ulteriormente il proprio malessere. Per questa ragione, spesso il disagio è stato vissuto in maniera “clandestina”, causando ulteriore stress che in alcuni casi si è tradotto in autolesionismo. A essere altrettanto preoccupanti sono gli effetti a lungo termine. Nel delicato percorso di crescita, qualsiasi evento ha un effetto duraturo nel tempo. Molti, se non tutti i ragazzi, porteranno con sé il peso di questa esperienza.”

Dominique Tavormina

Bibliografia

Recalcati Massimo: L’ora di lezione, 2014 Einaudi.

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