Lo sport agonistico è praticato da colui che fa dello sport uno stile e fonte di vita. Willimczik e Kronsbein (2005) hanno potuto dimostrare che i diversi stimoli e le motivazioni cambiano nel corso della carriera di un atleta agonista. Si passa dall’attuare lo sport per puro divertimento al voler migliorare il proprio livello per arrivare al successo sperato.
Sport e cervello
Il cervello agonistico è proiettato alla conquista del risultato. A seconda dei requisiti di uno sport agonistico gli atleti devono avere una maggiore velocità di esecuzione, forza, resistenza, coordinazione, precisione, efficienza e automaticità nell’azione. L’incremento della frequenza cardiaca durante l’esercizio fisico permette il rilascio di sostanze chimiche chiamate endorfine. Esse migliorano lo stato dell’umore, generano benessere e riducono il dolore, motivo per cui le persone con dolore cronico si sentono meglio quando muovono il corpo. I corridori, infatti, dopo aver corso per circa 3 chilometri provano un senso di pace e benessere nonostante quanto stiano lavorando.
Tale effetto benefico durante la corsa si prova in un punto preciso dell’attività chiamato “Running High” ed è generato dall’azione delle endorfine sul sistema nervoso. L’esercizio fisico coinvolge anche altri ormoni che influiscono sull’umore come la dopamina e la serotonina. Inoltre, gli studi dimostrano che l’esercizio fisico facilita il sonno e aumenta l’autostima, entrambi fattori che migliorano la qualità di vita.
La depressione nello sport agonistico
L’Università di Adelaide ha condotto una recente ricerca sulla salute mentale nello sport agonistico. Dai risultati è emerso che accanto ai diversi sintomi fisici (vertigini, tachicardia, ecc) possono insorgere stati depressivi, instabilità emotiva, disturbi del sonno e irritabilità diffusa. Vi sono tre momenti critici nella vita di un atleta agonista che possono generare depressione.
- Infortunio: oltre al dolore fisico e mentale per il danno subito l’atleta vive la condizione di passività motoria con diverse paure. In particolare esso teme di non tornare più come prima o di non poter utilizzare la parte interessata come una volta. La tristezza, l’apatia, l’insofferenza sono comuni in questa fase. Al termine di un allenamento di alto livello è possibile incorrere in un fenomeno chiamato “sindrome acuta da scarico”. Essa di solito interviene dai quattro ai venti giorni dopo l’interruzione repentina dell’allenamento e può perdurare anche dei mesi (Urhausen,1993). La comparsa di tale sindrome varia da sportivo a sportivo.
- Sconfitte: nello sport agonistico la sconfitta genera preoccupazioni legate al non essere all’altezza della prestazione e al saper accettare i propri limiti.
- Ritiro dall’attività agonistica: è un passaggio delicato per uno sportivo in quanto comporta la difficoltà nel riuscire a reggere come prima i ritmi e le prestazioni di alto livello. Spesso il confronto con gli avversari o i risultati insoddisfacenti portano al dover decidere la fine del proprio percorso. Talvolta è proprio l’infortunio a dare il senso all’atleta di doversi fermare.
Fattori di rischio nello sport agonistico
Il vissuto personale degli atleti che praticano sport agonistico viene spesso messo in secondo piano. L’equilibrio psicologico di quest’ultimi può essere, inoltre, compromesso dallo stress e da situazioni ansiose. In particolare l’ansia è determinata dalla pressione dei tifosi, gli allenatori e le società sportive, i procuratori, l’attenzione degli sponsor quale fonte di reddito. A questi si aggiungono i continui cambi di città, i social media, l’eccessiva ricerca di perfezione e l’ottenimento della vittoria ad ogni costo. Negli sport di squadra il rapporto con gli altri membri del team rappresenta un fattore di stress. In particolare, la sottoscrizione di contratti lavorativi non sempre soddisfacenti incrementa lo stato di malessere tra gli stessi membri. Nel mondo dello sport femminile le molestie e la sessualizzazione dei corpi delle atlete costituiscono un fattore di rischio per l’equilibrio mentale delle stesse.
Alcune testimonianze
Michael Phelps, nuotatore pluripremiato, alla vigilia delle Olimpiadi di Rio del 2016 ha dichiarato di soffrire di depressione dal 2004, soprattutto nel periodo post-olimpiadi. “Ho lottato contro ansia e depressione e sono arrivato a chiedermi se volevo ancora vivere. Non bisogna aspettare che le cose peggiorino, è importante capire che la terapia non è solo per le persone che soffrono di gravi problemi mentali”. Dopo mesi di allenamenti estenuanti e la costante pressione del mondo esterno, M. Phelps ha conquistato l’oro ma il vuoto e l’angoscia lo hanno sopraffatto. La consapevolezza di tali stati emotivi ha portato il nuotatore a spingere chi ne soffre di non vergognarsi a chiedere aiuto. Anche la tennista Osaka Naomi ha ammesso di soffrire di depressione, dopo aver rifiutato di partecipare alla conferenza stampa in occasione degli Open di Francia. La decisione di ritirarsi dalla competizione è legata alla difficoltà nel tollerare la pressione mediatica e nel mantenere un alto livello di prestazione.
Conclusioni
Nello sport agonistico occorre garantire un sano equilibrio psico-fisico dell’atleta partendo dall’identificazione delle caratteristiche personali e dalle motivazioni. Esso dovrà essere seguito costantemente durante l’intera carriera, riconoscendo così eventuali cambiamenti di umore, pensiero, comportamenti disfunzionali. È possibile notare un atteggiamento diverso dell’atleta verso lo sport caratterizzato da un maggior senso si stanchezza e scarsa motivazione. Il calo della prestazione lo porterà a saltare gli allenamenti, le competizioni, a manifestare una maggiore irritabilità nei confronti dell’allenatore e dei compagni di squadra. Fondamentale è il sostegno psicologico attuato da psicologi professionisti o mental coach delle società sportive al fine di intervenire preventivamente sui primi segnali di disagio.
Maria Vincenza Minò
Bigliografia
- Università of Adelaide. “Stopping exercise can increase symptoms of depression”. ScienceDaily. ScienceDaily, 22 March 2018.
- Urhausen A. Abtrainieren oder das akute Entlastungssyndrom. Rudersport, 1994; 44(25), p. 630.
- Weineck J. “L’allenamento ottimale”. Calzetti & Mariucci Editori. 2009.
- Willimczik K, Kronsbein A. Leistungsmotivation im Verlauf von Spitzensportkerrieren. Leistungssport 2005, 5, 4-10.
Sitografia
www.corriere.it
Foto: Envato Elements