Il collezionismo e le creature imperfette: il caso Labubu
Nato dalla matita dell’artista hongkonghese Kasing Lung, Labubu è molto più di un pupazzetto da scaffale: è una piccola icona dell’imperfezione. Con orecchie a punta, denti sporgenti e un ghigno sospeso tra il tenero e il grottesco, incarna la libertà di non piacere a tutti.
Apparso per la prima volta nel 2013 nel libro illustrato The Monsters, sembrava destinato a restare un personaggio minore. Nel 2015 la compagnia cinese Pop Mart decise invece di trasformarlo in un designer toy da collezione. Da figura di nicchia a fenomeno globale, Labubu ha conquistato l’immaginario grazie al suo stile ugly-cute, una “tenerezza disturbante” che rovescia le regole del bello.
In Italia, la febbre Labubu è esplosa tra il 2022 e il 2024, dopo un avvio più discreto. I social, le fiere come il Lucca Comics & Games e i primi rivenditori ufficiali hanno alimentato la curiosità, trasformandola presto in mania collettiva. Nel 2025, restock esauriti, aste online e lunghe file hanno trasformato Labubu da toy underground in icona pop amata da collezionisti e appassionati.
Prodotto da Pop Mart e venduto in blind box — scatole chiuse che nascondono quale personaggio si troverà all’interno — Labubu basa il suo fascino sull’incertezza. Non è solo l’oggetto a generare piacere, ma l’attesa, la sorpresa, l’illusione del controllo su qualcosa che resta imprevedibile.
Il collezionismo come racconto di sé: identità e desiderio
Collezionare Labubu non è solo accumulare oggetti: è costruire una narrativa personale. Ogni pezzo racconta una sfumatura emotiva — versioni in lacrime, travestite da lupi, scheletriche o romantiche. Una vera galleria di mood, che consente di proiettare il proprio mondo interiore su figure esterne.
Secondo Belk (1995), il collezionismo è un’estensione del sé. Non si tratta solo di possedere, ma di riconoscersi. Nel caso di Labubu, il collezionista si identifica con una creatura difettosa eppure adorabile, buffa ma tenace. In un’epoca di filtri estetici e perfezione social, Labubu è un’icona anti-perfezione, e forse proprio per questo conquista.
Blind box e dopamina: il cuore del collezionismo impulsivo
Le blind box sono studiate per attivare il circuito dopaminergico cerebrale. Come dimostrano Berridge & Robinson (2016), l’imprevedibilità del premio attiva più intensamente il “volere” rispetto al “piacere”. Il risultato? Un comportamento ripetuto: si compra, si spacchetta, si posta online, e si ricomincia.
Il collezionismo Labubu diventa così una performance emotiva condivisa. Si alimenta di feedback sociali (like, commenti, invidia), sostenuto da algoritmi che premiano il contenuto visivo. Un ciclo che rilascia picchi di umore positivo, ma anche frustrazione se non si ottiene la “secret edition“.
Collezionismo, nostalgia e comfort emotivo
Labubu dialoga con l’estetica kawaii — carino, ma con un tocco creepy. Un’estetica che affascina, e soprattutto rassicura chi — dai bambini agli adulti — cerca un’ancora emotiva. Il design di Labubu è imperfetto, tenero, ambiguo. Evoca i giocattoli di una volta, ma senza rinunciare alla complessità dell’umore dell’età adulta.
In periodi di incertezza, questi oggetti possono diventare piccoli rifugi estetici, attivatori di nostalgia e involontari regolatori d’umore.
Rischi, limiti e il lato oscuro del collezionismo
Non tutto il collezionismo è innocuo. Il confine tra hobby e accumulo compulsivo è sottile. L’esplosione del fenomeno è documentata: articoli recenti parlano di comportamenti simili a quelli del gioco d’azzardo nei collezionisti di Labubu. Il modello blind box con scarso controllo può generare senso di urgenza e rimpianto post acquisto. Il mercato secondario e la scarsità programmata aumentano la pressione: il pezzo raro diventa uno status symbol, prima che un oggetto amato.
Serve consapevolezza: il collezionismo può essere ricco di significato, meno se diventa fuga o accumulo senza senso.
Istinto evolutivo e compulsione
Secondo lo psicologo Sam Goldstein (2025), Labubu rappresenta una forma moderna di risposta a impulsi evolutivi radicati. Il meccanismo delle blind box attiva ciò che la psicologia comportamentale definisce random reward system. Ricompense incerte che spingono a ripetere il comportamento, anche in assenza di reale bisogno.
Goldstein collega il collezionismo compulsivo a strategie adattive dei nostri antenati, che accumulavano oggetti rari per sopravvivere. Ma nella contemporaneità questo impulso può degenerare: la caccia al “pezzo raro” diventa un loop dopaminergico che imita le dinamiche del gioco d’azzardo.
Quando il desiderio di possedere supera il piacere del possesso, il rischio non è solo economico, ma emotivo. Si smette di collezionare per raccontarsi, e si comincia a collezionare per placare un’ansia di fondo. Un passaggio sottile, ma clinicamente rilevante.
Conclusione
Labubu è un piccolo totem dell’emotività contemporanea. Nell’atto di collezionarlo, ci riconosciamo vulnerabili, desideranti, incompleti. È un oggetto affettivo e culturale, capace di raccontare i nostri umori meglio di molte parole.
Ma come ogni passione, anche il collezionismo ha bisogno di equilibrio. Riconoscere il proprio limite, osservare le proprie motivazioni, accettare che a volte si può anche non avere tutto. Forse il vero “pezzo raro” è proprio questo: sapere quando fermarsi.
Antonella Litta
Bibliografia
- Berridge KC, Robinson TE. (2016). Liking, wanting, and the incentive-sensitization theory of addiction. American Psychologist, 71(8).
- Belk RW. (1995). Collecting as luxury consumption: Effects on individuals and households. Journal of Economic Psychology, 16(3), 477–490.
- Goldstein S. (2025). Do You Labubu? Psychology Today, August 9, 2025.
Foto: “Collezionismo di Lababu”, foto di Wilma Di Napoli, 2025. “Toy Labubu fotografato nel contesto domestico. Il personaggio è proprietà intellettuale di Kasing Lung / Pop Mart”.







