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Depressione e demenza: quel buio nella mente e nell’anima

Apatia, tristezza, mancanza di interesse per le attività quotidiane, problemi di memoria, attenzione e concentrazione. Nell’anziano sintomi di depressione o prime avvisaglie di demenza? Uno studio fa luce sul caso.

Depressione primo segnale

L’insorgere di disturbi dell’umore in età avanzata può essere il primo sintomo dell’irrigidimento degli schemi cognitivi. Molto spesso, infatti, in questi casi si tende a confondere una diagnosi di decadimento cognitivo con una di depressione. La tristezza, molte volte, anticipa o convive con la demenza fino a che quest’ultima non risulta conclamata. A dimostrarlo uno studio del professor Osvaldo Almeida dell’Università australiana secondo cui la depressione sarebbe non una causa della demenza, ma causata dall’incipiente degenerazione cerebrale. Un primo “segnale” mandato avanti e fin qui frainteso come “normale” depressione.

Lo studio australiano

 Lo studio è partito dall’osservazione che l’utilizzo di antidepressivi negli anziani non faceva diminuire il rischio di demenza associata ai disturbi dell’umore. I ricercatori del professor Almeida hanno, quindi, arruolato oltre 12mila persone di età compresa tra i 65 e gli 84 anni. Dopo averli analizzati per una decina d’anni le cifre di depressione/demenza o di nessuna demenza hanno prodotto un risultato. Hanno fatto capire, agli studiosi australiani, questa possibilità del disturbo dell’umore come sintomo premonitore di un imminente declino cognitivo.

L’inganno

L’insorgenza dell’Alzheimer o di altre patologie di deterioramento cognitivo, quindi, può essere spesso confusa con la depressione. Ma quali sono i rischi? Qual è l’importanza di una diagnosi precoce? Come devono comportarsi i medici e i familiari dei malati di demenza? Ne parliamo con il professore Vincenzo Diego Bianchi, geriatra e neurologo, responsabile del Raggruppamento di Geriatria della Clinica Bianchi di Portici (NA) e con il dottor Michele Carpinelli Mazzi, neuropsicologo.

«La depressione improvvisa nell’anziano non esiste – asserisce il professor Bianchi – soprattutto se non si sono presentati casi nel corso della vita. La perdita di interessi, l’apatia, le difficoltà di concentrazione e di memoria sono sintomi prodromici, anche dieci anni prima, di patologie di decadimento cognitivo. Segnali sfumati, spesso, sottovalutati dai medici e dai familiari».

Diagnosi e terapia nella demenza

«Un medico va molto cauto – prosegue Bianchi – di fronte ai primi sintomi che precedono malattie cognitive, vuole essere certo. Tuttavia una diagnosi precoce, anche a partire dai 50 anni, può contribuire a rallentare la progressione della demenza, sebbene non possa essere arrestata. Ci sono sintomi come l’ansia, per esempio, che nella progressione del decadimento cognitivo aumenta e contrasta l’irrigidimento degli schemi mentali fino a prevalere sul soggetto. Gli ansiolitici in questi casi non sono consigliati, riducono le funzioni cognitive. Mentre ci sono degli integratori specifici, antiossidanti che aiutano a rallentare il decorso della patologia. Per lo specialista è importante il costante rapporto con la famiglia, per comprendere i trascorsi del paziente».

La riabilitazione personalizzata nella demenza

«L’ideale, poi, in un paese avanzato culturalmente sarebbe – aggiunge il professor Bianchi –  quello di fare degli interventi di riabilitazione cognitiva personalizzata ma non avviene. Si tratta di terapie riabilitativo-cognitive molto lunghe per rallentare la malattia. Ci vuole integrazione col nucleo familiare che deve essere presente. Il medico deve scegliere una terapia atta a stimolare e preservare le funzioni cognitive del paziente. A ridurre malattie croniche che ledono principalmente il cervello e l’albero vascolare. Terapie molto costose per cui non ci sono finanziamenti».

I caregiver e la demenza

Ma come devono comportarsi i caregiver?

«Spesso quando la persona è consapevole del deterioramento delle proprie funzioni cognitive – afferma Michele Carpinelli Mazzi, psicologo -. Così, scontrandosi con i deficit acquisiti, può insorgere uno stato depressivo reattivo. È consigliabile pertanto l’evitamento, quando possibile, delle attività che si concluderebbero con un fallimento.  L’ideale è mantenere, piuttosto, il più a lungo possibile le proprie autonomie sfruttando le capacità residue ancora del tutto o in parte conservate».

Francesca Mari

Sitografia

  1. www.fondazioneveronesi.it
  2. www.alzheimer.it
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