L’incontro
Siena, Clinica delle Malattie Nervose e Mentali. Seduta compostamente in sala attesa, minuta, capelli corti, Amelia Rosselli attendeva che il suo neuropsichiatra Marcello Nardini si liberasse dal giro in corsia per poterla ricevere. Io, giovane specializzanda, provavo timore di fronte alla personalità di questa poetessa. La figlia di Carlo Rosselli. Avevo da poco visto in tv un servizio sull’assassinio del padre e dello zio Nello, intellettuali antifascisti, fondatori di “Giustizia e Libertà”, da parte dei fascisti nel 1937 a Bagnoles-de-l’Orne, in Francia (Fiori, 1999). Amelia aveva soli sette anni.
Vederla lì, per la prima volta nell’’89, con il volto desolato e triste, con lo sguardo smarrito, mi pose in uno stato di timorosa soggezione. E volli conoscere la sua storia umana e la sua poesia. Da allora la vidi e rividi più volte sino al 1994, anno del trasferimento del prof. Nardini presso l’università degli studi di Bari. Se ne è andata, volando giù leggerissima, l’11 febbraio 1996, a Roma.
La storia
La vita di Amelia Rosselli è stata segnata da abbandoni forzati e precoci. Nata a Parigi nel 1930, perse entrambi i genitori nel giro di un decennio. Il padre fu ucciso dai fascisti nel 1937, la madre, Marion, inglese, morì di malattia nel 1948. La nascita di Amelia fu una “gran delusione” per ambedue i genitori. Il padre Carlo in una lettera a sua madre, scrisse che la trovavano piuttosto bruttina (De March e Giovannuzzi, 2012). La madre viene descritta come una donna fragile e deficitaria nelle sue funzioni di accudimento (sito.1). Dal padre Carlo, impegnato nelle attività antifasciste, riceve un senso d’incorporeità e di assenza e i figli venivano affidati spesso alla nonna. (Princiotta, 2017)
Tuttavia con la morte della madre è come se si fosse spezzato un filo che reggeva una fragile Amelia e “il vuoto si abbatte su di lei come il coperchio di una bara, la lastra di una lapide, seppellendo i ricordi, e ponendo fine al tempo della speranza e della crescita” (Tandello, 2007).
Successivamente alla morte della madre Amelia trascorse lunghi periodi in America, a volte in compagnia dell’amata nonna paterna, l’unica figura familiare capace di vicariare, almeno parzialmente, il difetto e il silenzio delle funzioni genitoriali. Da allora un’esistenza vagante.
Amelia Rosselli: la malattia
Nel 1954, a ventiquattro anni, subisce un altro lutto, quello dell’amico Rocco Scotellaro, “il poeta contadino”. La perdita di questo amico la sconvolse, anche lui combattente contro le ingiustizie. La morte di Rocco Scotellaro esacerba in modo doloroso l’esperienza della perdita.
Da questo momento le condizioni psichiche di Amelia peggiorano. La poetessa già da tempo era soggetta a brusche oscillazioni dell’umore, insonnia incoercibile, scoppi d’ira che avevano richiesto un ricovero in struttura psichiatrica. Da qui una lunga serie di ricoveri, italiani ed esteri, tra cui anche nella prestigiosa clinica svizzera Bellevue di Kreuzlingen, diretta da Binswanger. (Sito: 1).
La realtà fu davvero pesante per Amelia Rosselli, l’infanzia profanata dall’assassinio del padre, il freddo amore materno, l’insorgenza della depressione; da qui la sua travagliata realtà interiore. Per lei tramutare la parola in poesia aveva il valore di svelamento e di conoscenza. La parola salvifica. Un tentativo di elaborazione della morte del padre attraverso la parola che salva (Corsa, 2012).
“Storia di una malattia“
In «Storia di una malattia», ospitato su “Nuovi Argomenti” nel 1977, Amelia Rosselli offre una dolorosa testimonianza della sua patologia mentale. La condizione depressiva si complica con allucinazioni e deliri perlopiù di persecuzione. Da bambina Amelia Rosselli ha percepito perfettamente il problema del padre e dello zio spiati, inseguiti, sempre in pericolo, minacciati, fino al loro assassinio. Qui la malattia psichica, gravissima, viene analizzata, sviscerata da chi ne è afflitto. (Triulzi, sito. 2)
“Da dove partano certi attacchi a volte resta un mistero, o un mezzo mistero; ne seguono ipotesi a dozzine, alcune probabili alcune scartabili. …. La malattia era la CIA, il suo corrosivo o punto d’attacco il SID o l’Ufficio Politico o ambedue. La cura fu lunga e costosa, e vi sono ricadute. Agli inizi si trattava di poca roba: qualche cappuccino servitomi drogato ai bar di Trastevere, ma ripetitivamente. Girava voce che qualche cameriere era informatore e si vede che il caffè era drogato oltre che farti battere i denti al ritorno a casa, serviva per fare «parlare», chiacchierare o esplodere. Dai tabaccai metà delle sigarette erano drogate” (Rosselli, 1977)
Gli psichiatri e gli psicanalisti
Frequenta numerosi dottori: Ernst Bernhard, Perrotti, Bellanova e Marcello Nardini, passando da un’analisi freudiana a una junghiana.
“S’era chiarita una diagnosi in sospeso da moltissimi anni, riguardo al mio stato di salute generale. Il neuropsichiatra Marcello Nardini dell’Università di Roma poi trasferitosi al Policlinico di Siena, aveva consegnato certificato di completa sanità mentale, e poi diagnosi di lesione a sistema extrapiramidale (curandomi perciò di morbo di Parkinson tramite pillole antispastiche). Cosa di cui chiunque «ascoltasse» o «vedesse» in casa mia o fuori era perfettamente al corrente sin dal 1971. Ogni due o tre mesi o vedevo il medico di Siena per cambio di medicinali, o dietro suo suggerimento mi tenevo in contatto tramite interurbana ricevendo per posta le nuove ricette.” (Rosselli, 1977)
Il delirio di persecuzione
“Intanto i telefoni saltavano, le conversazioni telefoniche erano ascoltate e si udivano addirittura reazioni psicologiche di divertimento o di minaccia, nel sottofondo senza brusio di telefoni controllati a nastro. Un giovane carabiniere si mise d’accordo con un mio inquilino (affittavo una terza stanza) nel porre una dose gigantesca di droga nei miei cibi. Forte della sua autorità si era fatto fare una copia delle chiavi di casa accordandosi col fabbro”. (Rosselli, 1977)
Analisi psicopatologica di Marcello Nardini
A Siena, avendo presente la sua storia personale e il trauma della morte del padre, Marcello Nardini riteneva che fossero state le cicatrici e le ferite del tempo a generare il nucleo depressivo. Sotteso ai suoi racconti c’era il sentimento di non risarcimento da parte dell’Italia. In patria si sentiva una reietta. Una patria che riteneva essere stata ingiusta nei confronti suoi e della sua famiglia e che non riparava all’ingiustizia. In lei era fortemente presente il tema politico che generava un immaginario di angoscia che lei percepiva sulla sua pelle. I deliri di persecuzione e la paranoia di essere seguita e spiata vanno letti all’interno del contesto storico. Ha assunto su di sé il trauma di un’intera epoca stigmatizzando il mito del padre e dello zio. (Triulzi, sito. 2)
“Una notte mi svegliai soffocando, e sentii come la stanza piena d’onde elettromagnetiche, e me con le gambe addormentate e formicolanti. Forse un aumento della corrente durante il programma della sera prima, e un accumularsi d’onde nella stanza chiusa? Sospettai invece che qualcuno fosse andato nella cabina dello, stabile, a rialzare la corrente”. (Rosselli, 1977)
Sembrava che Amelia non avesse sistemi di difesa, che non riuscisse in nessuna forma di oblio per sopravvivere, restando quindi alla mercé del dolore e dei fantasmi del passato. La speranza per Amelia Rosselli era “spiumata”, disperata come vediamo nella poesia contenuta in “Documenti”:
“La speranza spiumata”
Stona la vita, / si spegne da sé / la speranza si spiuma / faticosa a mettersi insieme / non ne vuol più sapere / i pensieri sono poi ovali, o opachi.
Immacolata d’Errico
Bibliografia
- Corsa R. (2012). “Parole senza padre nel transgenerazionale somatico”. In Devescovi C. (a cura di), Lingua padre/lingua madre. Riv. Psicol. Anal., nuova serie n. 34, 86, pp. 67-78
- De March S., Giovannuzzi S. Cronologia. In Rosselli. L’opera poetica. Milano, Meridiani Mondadori, 2012
- Fiori G. “Casa Rosselli: Vita di Carlo e Nello, Amelia, Marion e Maria. Torino, Einaudi, 1999
- Princiotta C. “Dizionario Biografico degli Italiani” – Volume 88, 2017
- Rosselli A. “Storia di una malattia”, in «Nuovi Argomenti», n. 56, Nuova Serie, ottobre-dicembre 1977
- Rosselli A. (1966-1973). “Documento”. In Le poesie. Milano, Garzanti, 1997
- Tandello E. “Amelia Rosselli. La fanciulla e l’infinito”. Roma, Donzelli, 2007
Sitografia