Le parole hanno uno scopo e spesso come dice il proverbio popolare feriscono più della spada. Certe volte possono uccidere lentamente tramite piccole ferite quotidiane, che alla fine dissanguano la vittima. Le parole possono alzare muri invisibili e spesso operare nella vita sociale delle persone, condizionandola fortemente: gli stereotipi e i pregiudizi.
Stereotipi e pregiudizi
In realtà basterebbe poco per non ferire il prossimo, a condizione di capire questo implicito potere del parlare. Come? Presto detto. Si tratterebbe in fondo di usare con più consapevolezza e coscienza gli aggettivi. Soprattutto quando li riferiamo a qualcuno che non conosciamo, ma del quale ne identifichiamo un’appartenenza ad un gruppo (sono gli stereotipi).
Oppure evitare di esprimersi quando, parlando di persone che si conoscono solo in parte, si fanno previsioni sul comportamento e sui risultati dell’azioni di chi è al centro delle attenzioni (sono i pregiudizi).
In questo articolo cercheremo di spiegare cosa sono gli stereotipi con chiari esempi.
Spesso capita che, quando si viene a conoscenza che un conoscente “è in terapia”, oppure “va dallo psicologo”, si venga portati a classificarlo in un gruppo invisibile di “ammalati”. Poi siamo portati ad attribuirgli, anzi appiccicargli addosso come tanti post-it, giudizi di qualità sulla persona, con una serie di aggettivi derisori, canzonatori e squalificanti.
Quando si viene etichettati come “chi ha un problema” si riceve in dote un gran numero di caratteristiche negative, che spesso non hanno nulla a che fare con la realtà. A volte si scade nel bieco pettegolezzo.
Quante volte si è udita l’espressione “Ma chi va dallo psicologo ha problemi!”. Vero, ma sono problemi di salute, diversi ed originati dalla stessa necessità di star bene di chi si rivolge ad altri specialisti. Comunemente ancora si pensa che chi chiede aiuto psicologico manifesti una specie di innata fragilità o mancanza di carattere o debolezza morale.
Stereotipi e falsa conoscenza
Una delle note peggiori sugli stereotipi è che sovente essi vengono attivati e usati, maggiormente nel gruppo sociale di appartenenza, da colui che crede di conoscerti bene. Egli ti critica e ti appiccica addosso aggettivi negativi.
È come se la vicinanza o la frequentazione degli stessi luoghi e compagnie attribuiscano una indiscussa conoscenza dell’altro. Senza che avvenga un incontro realmente profondo. Così chi crede di conoscerti maggiormente, magari perché ci si incontra sempre la mattina a prendere il caffè, in caso d’attivazione dello stereotipo, è colui che ne induce poi la risonanza negativa. Un meccanismo di amplificazione, tutto fuorché virtuoso, che finisce per danneggiare chi lo subisce. Ė il preludio alla stigmatizzazione.
Come dire che tutti i vicini di casa di Dante Alighieri, solo perché lo incontravano in mattinata, o ne sentivano provare i versi della Divina Commedia, automaticamente ne acquisivano le capacità critiche per giudicare l’operato poetico.
Esatto: una valutazione che parte da premesse apparentemente plausibili e porta a delle conclusioni distorte ed errate! Lo stereotipo funziona come un ragionamento filosofico deduttivo, come quelli imparati al liceo: se A è uguale a B e B è uguale a C allora A è per forza uguale a C!
La persona più fragile del gruppo
In realtà, l’esempio di Dante Alighieri non è perfettamente calzante. Gli stereotipi si attribuiscono spesso a chi si ritiene che possa essere l’elemento più fragile di un gruppo. Così facendo la fragilità può diventare un elemento di debolezza e di crisi socio-culturale di tutto il gruppo. Pertanto diventa funzionale e necessario il cercare delle motivazioni pseudo-cognitive che giustifichino un cambio di atteggiamento verso il portatore della “diversità/fragilità”.
Spesso diventa un esempio da non seguire perché così facendo si rinforza e s’irrigidisce il conformismo (definito più tecnicamente come desiderabilità sociale). Lo status sociale degli individui membri di un gruppo, pertanto, influenza gli stereotipi e questo apre a discorsi di tipo morale su cui ritorneremo.
Se il meccanismo di difesa sociale dell’uso di stereotipi è funzionale da millenni alla stabilità della popolazione, occorre sottolineare che negare i bisogni e le richieste di aiuto per la salute mentale può portare solo ad un ulteriore danno alle persone.
Il conformismo non cura, così come non curano gli stereotipi. Occorre essere più forti, superarli e trovare il coraggio di rivolgersi ad un professionista. La posta in gioco è troppo alta e non deve esserci alcuna vergogna nel manifestare il bisogno e chiedere aiuto. La nostra mente è più complessa di un insieme di aggettivi che possono venirci attribuiti.
Luigi Starace