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Michelangelo e il “non finito”

Michelangelo lasciò un certo numero di statue allo stato di “non finito”. Non poté finirle per cause esterne? Lo decise di sua volontà? O per i suoi aspetti caratteriali?

Michelangelo, l’uomo

Genio indiscutibile, fu poeta, pittore, architetto e scultore. Nacque a Caprese, vicino Arezzo, nel 1475 e morì a Roma nel 1564. La famiglia, appartenente al patriziato fiorentino, oramai in declino,   era in ristrettezze economiche. Michelangelo perse la madre quando aveva solo sei anni. Con il padre ebbe un rapporto conflittuale. Aveva frequenti litigi e tendeva a rinchiudersi sempre più in se stesso. Fu, infatti, sin da bambino, taciturno, introverso, irascibile e permaloso. Iniziò gli studi in grammatica, ma non poté completare la sua istruzione con gli studi classici per le difficoltà economiche familiari. https://www.ambasciator.it/michelangelo-buonarroti-artista-tormentato/

I litigi col padre continuarono anche durante il periodo adolescenziale. Il padre ostacolava la vena artistica del figlio. Considerava una simile scelta poco dignitosa per una famiglia di nobili origini. Fu preso “a bottega” dal Ghirlandaio, a 12 anni. Mostrò sin da subito, in bottega,  il suo carattere scontroso, ma dalle sbalorditive capacità artistiche. Viene descritto dai biografi anche come esuberante sino alla prepotenza. https://www.artfiller.it/artisti/michelangelo/tratti-caratteriali/

Il padre capitolò solo quando costretto da Lorenzo de’ Medici, che desiderava Michelangelo a corte, concedendogli il posto da lui richiesto nelle dogane di Firenze. Con la morte del suo protettore iniziò a girare tra Venezia, Bologna e Roma. Il rapporto con il padre migliorò con il tempo e lui se ne prese cura sino alla fine.  (D’Orazio, 2018)

Michelangelo per tutta la vita accumulò ossessivamente ricchezze, acquistò terreni, case per sé e per la sua famiglia. Sempre a Firenze, la sua patria di elezione benché vivesse ormai a Roma. Nonostante la ricchezza, condusse una vita priva di lussi e persino dei principali comfort. Proteso unicamente a restituire al casato dei Buonarroti, il rango perduto. E  a dimostrare al padre, che lo aveva disprezzato e sottovalutato, di poter aiutare persino la famiglia in difficoltà, proprio grazie alla sua carriera artistica. https://www.focus.it/cultura/storia/michelangelo-buonarroti-vita-opere-genio-rinascimento

Michelangelo: aspetti psichici

Van Lieburg, ci fa notare come nei suoi scritti Michelangelo si arrenda allo sconforto e a una vita priva di gioia. Infatti, nel 1512, al completamento della Cappella Sistina, in una lettera al padre, dichiara che la sua esistenza è “miserabile” e piena di ansie. “Conduco un’esistenza miserabile e non mi interessa né la vita né l’onore…io vivo affaticato da lavori stupendi e pieno di migliaia ansietà. E così ho vissuto per quasi 15 anni senza avere mai avuto un’ora di felicità”. Vediamo che l’artista considera gli ultimi 15 anni di vita come percorsi da sofferenza ininterrotta.  Probabilmente questa può essere una prova che in quel momento vivesse in uno stato di depressione. Più tardi nel 1525, in un suo poema troviamo una descrizione chiara del suo male, descritto da egli stesso con i termini “depressione” e “ossessione”. Molti poemi, inoltre, hanno come tema centrale la morte. (Van Lieburg, 1998)

Il carattere di Michelangelo

I suoi biografi lo descrivono come un uomo solitario, ombroso che vedeva nemici ovunque. Dallo spirito tormentato, rabbioso, insoddisfatto, Michelangelo rappresentò il nuovo tipo di artista indipendente, non legato a nessun Signore, consapevole del proprio genio. Spesso bizzoso e a volte prepotente, si interfacciava frequentemente con modi bruschi e rabbiosi, ai grandi poteri dei Papi e degli Imperatori di quel tempo. Era conscio, infatti, del proprio talento e della propria grandezza artistica. http://www.storico.org/umanesimo_rinascimento/michelangelo.html

“ Non mi sono mai preoccupato dell’opinione che il mio atteggiamento poteva suscitare negli altri, così sono passato per scontroso, invidioso, spilorcio, opportunista, sedizioso… un mostro nei panni di un genio”. (D’Orazio, 2018)

Robert Liebert, uno psicoanalista americano, fa un quadro esaustivo delle possibili problematiche psichiche dell’artista. Studiando, dal punto di vista psicoanalitico vita e opere, collega le depressioni ricorrenti di Michelangelo alla realizzazione dei suoi grandi successi artistici. “Nessun lavoro artistico all’ultimo stadio o dopo il completamento sembra portare con sé quell’eccitazione che Michelangelo aveva avuto inizialmente. Così, un tono depressivo si impone nell’immaginario delle fasi finali di molti dei suoi lavori. Nella sua scultura questa depressione si trasforma in mancanza di interesse, ciò contribuì al fatto che più di metà dei suoi lavori rimane incompiuto.” (Liebert, 1983)

Il non-finito

La tecnica del non-finito è oggetto di controversia e di ipotesi. Il numero di statue lasciate allo stato di non-finito dall’artista è tale da rendere improbabile che l’artista interrompesse il suo lavoro per cause sopraggiunte. Sembra molto più logico, invece, che non le abbia completate per sua volontà. Le spiegazioni possono essere molteplici. Liebert invoca la depressione come possibile causa di interruzioni dell’opera, come sopra accennato.

È possibile, inoltre, che gli aspetti caratteriali dell’artista, come il tormento, l’incostanza o la perdita d’interesse siano responsabili dell’incompiuto. E la comparsa del desiderio di intraprendere una nuova sfida con la pietra. Oppure che l’artista interrompesse la lavorazione per l’impossibilità di adattare le forme appena ottenute alle nuove esigenze creative. Esigenze che in lui nascevano man mano che scolpiva, come per la Pietà Rondanini. Possono esserci anche motivazioni stilistiche, il non-finito come nuova forma di espressione artistica. In ogni modo, è una tecnica che nasconde significati ardui da interpretare e che suscita nella critica e nello spettatore profonde suggestioni e riflessioni psicologiche. https://www.artfiller.it/artisti/michelangelo/tratti-caratteriali/

I Prigioni

Michelangelo e il non finito
Lo Schiavo che si desta e Atlante-foto tratte da “Michelangelo” di C Acidini in Arte-dossier. Giunti Ed

Papa Giulio II nel 1505, lo incaricò di scolpire 40 statue di marmo per il proprio monumento funebre nella nuova chiesa di San Pietro. Furono scolpite solo 6 statue, denominate “I Prigioni”. Due di esse, databili intorno al 1510-13, lo “Schiavo Ribelle” e “lo “Schiavo Morente”, sono nel museo del Louvre, a Parigi.  Gli altri quattro Prigioni sono attualmente a Firenze collocati nell’Accademia. Essi sono: lo “Schiavo Giovane”, lo “Schiavo che si desta”,  lo “Schiavo Barbuto” e “Atlante”, databili fra il 1519 ed il 1534 circa. I nomi delle sculture vennero attribuiti solo nell’Ottocento, in base alla posa assunta dalla figura abbozzata da Michelangelo.

Secondo Lieberg una spiegazione della riduzione del numero (da 40 a 6) e della loro incompiutezza, è da attribuirsi allo stato depressivo di cui l’artista soffriva in quegli anni. Afferma Liebert: “Ognuno degli Schiavi Boboli può essere visto come il ritratto del senso di stanchezza e di eterna schiavitù dello scultore per l’impossibilità di realizzazione del progetto della tomba di Giulio II.” Dall’analisi del suo epistolario con l’amico Bartolomeo Angiolini, Michelangelo confida: “Io ho un grande compito da portare avanti, ma sono vecchio e malandato, di conseguenza, lavoro un giorno e devo fermarmene quattro.” Questo stato depressivo durò fino al 1525, ed in quell’anno scrisse ad un agente di Firenze, “Più non vivo la vita, meno lavoro”. (Van Lieburg, 1998)

Schiavo giovane e Schiavo barbuto, foto tratte da “Michelangelo” di C Acidini in Arte-dossier. Giunti Ed

Caratteristica comune ai Prigioni è l’accentuata torsione che imprime un movimento come un librarsi dalla carne per anelare a Dio. L’incompiutezza, il non-finito però anziché essere un limite, appare come una significativa anticipazione di modernità dell’arte e della scultura “dove la forma diventa simbolo di libertà espressiva dell’animo dell’artista al di là delle convinzioni più classiche e dell’estetica accademica”. “È la titanica lotta dell’uomo per la propria libertà espressiva”. (Gaboardi, 2014)

Conclusioni

Ho sempre trovato intrigante spulciare nelle biografie dei grandi personaggi per veder emergere le tracce degli uomini che furono. Non sono interessata alle diagnosi psicopatologiche in sé stesse e per sé stesse.  Ritengo, invece, che i profili, psicologici e psicopatologici, che si evincono dalle opere, rendano tangibile  mondi di sofferenza e percorsi da cui trarre insegnamenti! Del non-finito di Michelangelo, personalmente, ammiro la capacità dei Prigioni di liberarsi dalla pietra grezza per aprirsi alla vita. I loro corpi contorti dalle espressioni ambigue sembrano colti nel momento in cui spuntano dalla roccia. E questo da loro una grande personalità.

                                                                                              Immacolata d’Errico

Bibliografia

  1. D’Orazio C. – Michelangelo. Io sono fuoco. Sperling & Kupfer, 2016. Mondadori, 2018.
  2. Liebert R.S. – Michelangelo. A Psychoanalytic Study of His Life and Images. New Haven and London: Yale University Press, 1983.
  3. Van Lieburg M.J. – Depressi famosi. Dieci profili storici. By Organon International, 1998.

Sitografia

Patrizia Gaboardi in

  1. http://www.allaroundkaarl.com/non-finito-michelangelo-buonarroti-esempio-modernita/#:~:text=Il%20%E2%80%9CNon%2DFinito%E2%80%9D%20potremmo,sia%20frammentaria%2C%20abbia%20un%20termine
  2. https://www.artfiller.it/artisti/michelangelo/tratti-caratteriali/
  3. http://www.storico.org/umanesimo_rinascimento/michelangelo.html
  4. https://www.focus.it/cultura/storia/michelangelo-buonarroti-vita-opere-genio-rinascimento
  5. https://www.ambasciator.it/michelangelo-buonarroti-artista-tormentato/
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