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Il lavoro è un evento stressante prolungato?

Molto spesso si parla di interferenza delle attività lavorative con l'insorgenza di disturbi dell'umore. Si pensa al lavoro come a un potenziale evento stressante prolungato che può interferire con l'equilibrio dell'umore della popolazione.

Le attività lavorative interferiscono con l’insorgenza di disturbi dell’umore? Talvolta si pensa al lavoro come ad un potenziale evento stressante prolungato che può interferire sull’equilibrio dell’umore della popolazione. Uno studio scientifico italiano (Tavormina, 2022) pubblicato recentemente ha voluto dare degli spunti di riflessione su tutto questo.

Alcuni dati Istat sul lavoro in Italia

Da dati statistici forniti dall’Istat, alla fine del 2020 è emerso che in Italia solo una percentuale ridotta della popolazione lavora, esattamente il 38%. Vale a dire gli italiani al lavoro erano quasi 23 milioni. Fra chi non lavora bisogna includere i bambini, gli studenti, i pensionati, i disoccupati (questi ultimi circa il 3,8% della popolazione) e i cosiddetti “inattivi”. Si definiscono “inattivi” coloro che potrebbero lavorare e non lavorano (circa il 23% della popolazione).

Fra tutti i lavoratori, i dipendenti sono circa 18 milioni (il 30% della popolazione), mentre circa 5 milioni sono gli indipendenti. Fra i lavoratori dipendenti, circa il 55% è formato dagli operai e il 45% circa dagli impiegati. 

Inoltre, al 31 dicembre 2019 vi erano in Italia oltre 16 milioni di pensionati (circa il 27% della popolazione). Invece, le casalinghe erano oltre 7 milioni (circa il 12% della popolazione).

Lo fa sapere l’Istat nel rapporto “Partecipazione al mercato del lavoro della popolazione residente (Istat 2019).  

Il lavoro è un evento stressante prolungato?

In uno studio statistico osservazionale pubblicato nel settembre 2022 sono state valutate 1140 persone nel periodo di tempo degli ultimi 18 anni. Tutte persone che si erano rivolte allo psichiatra per trattare un disturbo dell’umore. Sono state annotate tutte le loro attività lavorative raggruppandole in 13 gruppi: impiegati (eccetto gli insegnanti e i professionisti della salute), insegnanti di scuola (di ogni tipo), professionisti (medici, avvocati, architetti, ingegneri), professionisti della salute (infermieri, psicologi, operatori sanitari; eccetto i medici), imprenditori, commercianti, agricoltori, artigiani, operai (di ogni ordine e grado; inclusi i commessi), studenti (di ogni età), casalinghe, pensionati, disoccupati.

Le categorie lavorative più rappresentate in questo studio osservazionale sono state, nell’ordine, quelle degli impiegati, degli operai, delle casalinghe e dei pensionati, (il 66% fra tutti i pazienti allo studio). Questo dato è in buona parte sovrapponibile alle statistiche italiane sul numero dei lavoratori dipendenti, dei pensionati e delle casalinghe. Inoltre, questo studio conferma che i disturbi dell’umore sono in linea di massima equamente distribuiti fra tutte le persone che svolgono le varie attività lavorative e di vita. Questo sottolinea il concetto medico più volte espresso che “le malattie, incluse quelle dell’umore, sono democratiche e possono colpire tutti” (Tavormina et al, 2016).

Non è emerso quindi da questo studio su 1140 persone che il lavoro sia un evento stressante prolungato tale da innestare un quadro depressivo acuto. Non vi è un’attività lavorativa (o non lavorativa) particolarmente stressante da indurre in modo prevalente l’insorgenza di una fase acuta di un disturbo dell’umore. Con ciò non si possono escludere assolutamente possibili concause di disadattamento ad evento stressante prolungato determinate da eventuali attività lavorative o di vita.  Ad esempio il pensionamento, l’essere casalinga o essere disoccupato. Si conferma che la presenza nella vita delle persone delle malattie dell’umore è antecedente ad un ipotetico periodo di stress. Lo stress può essere indotto da attività lavorative o di vita successive all’umore depresso (Soares et al, 2014). Quindi, come più volte sottolineato in passato, prima vi è la malattia e poi anche l’eventuale sommazione con gli episodi di vita, (Zdanowicz et al, 2006).

Lavoro e depressione: valutazioni conclusive

Tuttavia, emerge inoltre che coloro che lavorano sono più soggetti a presentare disturbi dell’umore rispetto a coloro che non lavorano. Un certo stress emotivo le attività lavorative possono darlo, ma non appare che vi sia una singola attività di lavoro particolarmente stressante rispetto ad altre.

Una considerazione raccogliendo i dati dei vari anni allo studio: gli anni 2020 e 2021, quelli durante la fase acuta della pandemia del Covid e subito dopo di essa. In questi ultimi due anni vi è stato un incremento del 20% delle persone richiedenti visita psichiatrica rispetto alla media di richieste degli anni precedenti. Questo incremento peraltro non ha visto un’incrementata diversa distribuzione dei disturbi dell’umore fra le varie attività lavorative o di vita (esempio: le professioni sanitarie), (Tavormina, 2022). Ulteriore conferma che prima viene la malattia e poi l’eventuale sommazione con gli episodi di vita. E che il lavoro può essere senz’altro faticoso, ma generalmente, non è di per sé un evento stressante prolungato che induce depressione.

Giuseppe Tavormina

Bibliografia

  1. ISTAT, Istituto Nazionale di Statistica: Partecipazione al mercato del lavoro della popolazione residente, 2019 – www.istat.it
  2. Soares JM, Marques P, Magalhaes R, et al. Brain structure across the lifespan: the influence of stress and mood. Frontiers Aging Neurosc., November 2014.
  3. Tavormina MGM, Tavormina G, et al. – “Thinking of psychiatric disorders as a ‘normal’ illness”. Psychiatria Danubina, 2016; 28: supp 1: 125-131.
  4. Tavormina G – Mood disorders and type of work: what interaction? An Italian study – Psychiatria Danubina, 2022; 34: supp 8: 6-8.
  5. Zdanowicz N, Tavormina G, Agius M, et al – Actual emergency in psychiatry: from everyday problems to crisis – European Psychiatry, 2006; 21: suppl 1: 170-1.
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