Si sta discutendo in questi mesi sul disagio che emerge nel mondo giovanile. La pandemia SARS CoV 2 da cui, forse, stiamo faticosamente uscendo, pare abbia messo in evidenza vulnerabilità e sofferenze già in aumento negli anni passati. Quasi due anni di chiusure, restrizioni sociali e non solo, hanno fatto esplodere il malessere. Ed ora ci troviamo con dei numeri in crescita nei casi di autolesionismo.
I servizi di salute mentale si trovano oggigiorno a fronteggiare un sensibile aumento della richiesta di aiuto da parte di soggetti sotto i 25 anni.
Tutto ciò, da un lato è positivo per la maggiore facilità con cui le nuove generazioni si approcciano alla cura del benessere psichico. Dall’altro non si può evitare la comprensibile preoccupazione degli addetti ai lavori.
In generale nella scuola, nella sanità e nell’universo giovanile la sensazione è quella di trovarsi di fronte a un crescente bisogno di risposte ed iniziative.
Un tema che preoccupa in particolare gli specialisti della salute mentale e non solo, è il fenomeno dell’autolesionismo e del pensare di farsi del male. Esso spesso sconvolge ed angoscia la vita di genitori non consapevoli di quanto accaduto.
Autolesionismo: di cosa si tratta?
A grandi linee possiamo distinguere tre diverse forme di comportamento con cui la persona provoca un danno a sé stesso intenzionalmente. Possiamo infatti differenziare dei comportamenti a rischio per la salute e la vita, quali la guida pericolosa, il sesso non protetto e gli sport estremi. L’avvelenamento con l’assunzione tossica di farmaci o veleni e comportamenti di autolesionismo, come tagliarsi e/o bruciarsi.
L’autolesionismo è una patologia psichica giovanile?
Non è corretto equiparare questi comportamenti ad una malattia mentale in particolare. O meglio, è necessario sempre fare delle distinzioni.
In alcune patologie dello sviluppo neuropsichico, quali il ritardo mentale e l’autismo, possono essere presenti comportamenti ripetitivi e di autolesionismo. Il soggetto si infligge lesioni al corpo con il battere la testa al muro, colpirsi e strapparsi i capelli.
Anche in alcune malattie mentali come le psicosi, possono esserci dei comportamenti che provocano danni molto severi, magari sulla base di convincimenti distorti prodotti dalla malattia.
In generale però quello che coinvolge larghe fasce di giovani, espressione di un disagio con o senza una patologia psichiatrica definita, è l’autolesionismo definito “minore”. Si tratta di una forma di danno ripetuto nel tempo, anche per mesi o anni, ma episodico, con cui si provocano lesioni non letali.
Questo comportamento è spesso tenuto nascosto dai ragazzi, o a volte esibito nel gruppo dei pari, i genitori spesso lo scoprono solo tardivamente e fanno fatica a capirlo. La reazione in famiglia spesso è di imbarazzo, si prova a minimizzare, si rimprovera, oppure lo si vive con apprensione e senso di impotenza.
Ma quali sono le origini dell’autolesionismo?
Elementi che spesso si trovano in correlazione ai comportamenti autolesivi sono le relazioni familiari disfunzionali, l’isolamento sociale, lo scarso rendimento scolastico e la facile impulsività.
In generale non c’è una equivalenza con l’intenzione suicidaria. Spesso i ragazzi si provocano delle ferite sul corpo per lenire una sofferenza interiore, per scaricare la tensione, come strategia di uscita da indicibili sofferenze emotive.
Vi sono poi anche significati comunicativi, si usa questa modalità per esprimere un disagio e magari attivare una risposta nel contesto familiare o sociale, che non pare accorgersi della propria sofferenza.
La ripetizione di questi comportamenti nel tempo li rende quasi automatici e scontati. È come se il ragazzo si “desensibilizzasse” al dolore, e si riducesse quello che è l’innata propensione ad auto-proteggersi. A volte a questo può corrispondere un aumento del rischio di gesti a scopo suicidario.
Quindi chi si taglia o brucia è più a rischio di suicidarsi?
Non risulta in letteratura scientifica una correlazione diretta e certa. Alcuni studi riportano un aumento del rischio suicidario nei soggetti con autolesionismo, in altre ricerche questo dato non è confermato.
Quello che possiamo sicuramente dire è che l’autolesionismo è un’espressione di sofferenza da parte dei giovani. Come tale va accolto, ascoltato, preso in cura per comprendere a quale “domanda” il soggetto non trova risposta, se non facendosi del male.
Se ad esso si accompagna umore depresso, ansia e ideazione autolesiva va poi assolutamente cercato un aiuto specialistico, per affrontare meglio la situazione con gli interventi opportuni.
Che aiuto possiamo offrire?
Prima di tutto ridurre il pregiudizio e lo stigma può aiutare a comprendere meglio il fenomeno e inquadrarlo anche nel contesto culturale particolare che stiamo vivendo.
Oggi giorno vi sono siti che addirittura offrono un’esibizione di corpi martoriati come fossero un’attrazione, e spiegano nel dettaglio come ferirsi senza provocarsi danni permanenti.
Vi sono canzoni famose che ne parlano, cito il motivo martellante di questa estate… “e non esiste un dottore per i tagli sul cuore…colmo il vuoto con dei tagli di diverso colore”.
Poi vi sono interventi non prettamente sanitari che possono esser molto utili.
Le ricerche, infatti, mettono in evidenza la necessità di aiutare i ragazzi a imparare il linguaggio delle emozioni, coltivando in particolare quelle positive.
Fondamentale è il clima relazionale che si respira in famiglia: sostenere con interventi specifici (formazione, auto aiuto, terapie) la qualità delle relazioni familiari è fondamentale.
Le relazioni sociali sono un altro elemento di supporto fondamentale, pertanto è opportuno intervenire per contrastare l’isolamento sociale e la violenza tra i giovani.
Esistono oggigiorno fenomeni molto frequenti e purtroppo traumatici e distruttivi. Parlo del bullismo, del trolling (aggressioni e provocazioni sui social), del body shaming (deridere l’aspetto fisico di una persona).
Contrastare questi fenomeni può essere importantissimo, magari facilitando il supporto tra pari, stimolando l’auto aiuto, potenziando le occasioni positive di socialità, anche digitali.
Infine spesso i ragazzi che fanno autolesionismo faticano a gestire la propria impulsività. Essi sono molto vulnerabili alle tensioni della vita quotidiana quali un brutto voto, un litigio, una frustrazione qualsiasi. In questi casi possono essere utili approcci psicoterapici che li portino ad aumentare la loro capacità di adattarsi agli stress.
Esistono cure per l’autolesionismo?
Esistono molte forme di psicoterapia che possono essere utili quando un ragazzo attraversa un periodo di sofferenza psicologica ed emotiva, e lo esprime anche con l’autolesionismo. Terapia dialettico-comportamentale, terapia cognitiva, terapia interpersonale, terapia costruttivista, sono tutte tecniche psicoterapeutiche riconosciute nella loro efficacia.
In generale comunque, al di là degli approcci specifici, risulta fondamentale la bontà della relazione col proprio terapeuta.
Gli psicofarmaci possono essere utili più sui sintomi associati, come l’ansia, l’instabilità dell’umore e l’insonnia. In questo caso è fondamentale rivolgersi ad uno specialista psichiatra o neuropsichiatra infantile per le valutazioni del caso.
Wilma Angela Renata di Napoli
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