“Non avrei mai pensato di arrivare a desiderare che la colpa, che ho associato alla mancanza, non facesse parte per un momento del mio mondo interno: un viaggio difficile e doloroso. Oggi mi appartiene…” Sono le parole di una mia paziente che chiameremo Francesca.
La storia di Francesca
Francesca è in cura da molti anni con farmaci e psicoterapia psicoanalitica. Oggi effettua solo controlli saltuari di monitoraggio.
La vita della paziente è stata più o meno da sempre accompagnata da quelli che in psichiatria si definiscono stati depressivi, quelli che, in altri tempi, noi psichiatri avremmo definito distimia.
La donna non trovava pace. Le difficoltà la ributtavano in uno stato di profonda solitudine e disperazione che travestiva con comportamenti fuorvianti, a volte di tipo ossessivo-compulsivo. E le riusciva bene, era davvero bravissima, nessuno si accorgeva della sua sofferenza, della sua depressione, nemmeno lei. Fino a quando uno degli psichiatri che ha incontrato, ha iniziato a dare un nome ai sintomi che sembravano ai più ‘caratteristiche personali’.
Francesca cercava di carpire e risolvere questioni altrui, degli affetti in particolare. Chi si avvicinava a lei era ammaliato dal suo dare, la sua sembrava essere una generosità incondizionata.
Non lo sapeva bene la paziente, ma lo stava imparando sulla sua pelle. Si trattava di una sorta di garanzia, quella di garantire il controllo di una presenza. Cercava di fronteggiare una mancanza radicale, storica e indicibile perché é troppo dolorosa.
E fino a quando? Fino alla consapevolezza di quella mancanza, del fatto che quella assenza aveva a che fare con responsabilità altrui, che non c’era colpa, ma solo responsabilità altrui. Altre persone che era impossibile interpellare perché emotivamente mancanti da sempre.
Quale è allora la colpa della Depressione?
Qui, credo come in ogni campo umano, siamo tenuti al massimo ad aprire solo dei campi di riflessione, non altro. E a questo proposito probabilmente la colpa della sua Depressione, se così si può definire e se davvero una sola ce n’è, può avere a che fare proprio con l’assumersi la responsabilità di una mancanza affettiva che riguarda “altro da sé”. Senza averne coscienza e alla ricerca forse disperata di un contatto emotivo.
Meccanismi psicopatologici sottili sono chiamati in causa. Tra questi mi viene in mente l’identificazione con l’aggressore, leggendo la mancanza come una aggressione al negativo, una sorta di negligenza e colpa. Ma l’essenza della stessa credo sia la difficile consapevolezza di sé stesso ed una difficoltà a restituire all’altro la colpa della sua mancanza e della sua responsabilità.
E di fronte alla consapevolezza di ciò, la colpa smette di schiacciare la paziente e la malinconia parla al suo posto con umana poesia.
Ripeto a tal proposito le parole di Francesca, del suo ultimo controllo clinico: oggi è consapevole della “Presenza di Sé” così come della “Mancanza dell’Altro”.
“Non avrei mai pensato di arrivare a desiderare che la colpa, che ho associato alla mancanza, non facesse parte per un momento del mio mondo interno: un viaggio difficile e doloroso.
Oggi mi appartiene…”
E il desiderio diventa una ripresa, una rinuncia alla cura della mancanza altrui e una possibilità diversa di vita, con la memoria malinconica, umanamente preziosa, di quanto la relazione con Sé e con Altri davvero curi.
Federica Vellante